CASA DI BAMBOLA Commedia in tre atti in prosa di ENRICO IBSEN TRADUZIONE DI L. CAPUANA PREFAZIONE Volevo tradurre semplicemente Bambola il Casa di Bambola dal testo – i tedeschi hanno osato di più, intitolando Nora questa commedia dal nome della protagonista – ma poi ho ceduto al desiderio dell'attrice che doveva rappresentarla, ed ho lasciato al lavoro dell'Ibsen il titolo originale. Questa traduzione è fedelissima, quantunque provenga dalla traduzione francese del conte Prozor. Il bravo diplomatico, che dà all'arte i momenti lasciatigli liberi dalla politica, e che si è fatto in Francia l'apostolo dell'Ibsen, ha reso l'opera dello scrittore norvegiano tale quale è, senza alterazioni di sorta alcuna. Pensando alla rappresentazione, ebbi qualche esitanza davanti allo scioglimento di questa commedia: dubitavo che il pubblico italiano non potesse accettare facilmente l'estrema risoluzione di Nora. Sapevo inoltre che l'autore aveva fatto qualche concessione alle preghiere di una valente attrice tedesca. Mi parve giusto consultarlo, se mai avesse voluto permettere che si adottasse per qui lo scioglimento diverso permesso in Germania. L'Ibsen mi rispose: Desidero che il mio lavoro sia rappresentato integralmente. Sono convinto che gl'Italiani comprenderanno le mie intenzioni. E infatti non fu praticato nessun mutamento: alle rappresentazioni però si è visto quanto il mio dubbio fosse fondato. Per noi, il personaggio di Nora diviene un'eccezione molto strana quando si risolve ad abbandonare marito e figli, per tentare di farsi, con la propria esperienza, un'idea netta e precisa della vita e dei grandi problemi amari, senza badare a quel che dice la gente e a quel che ne predichino i libri. In quel momento, questa fantastica scandinava ci sconvolge, ci turba, così troppo diversa da noi: ma, forse appunto per questo, ci fa pensare. Probabilmente è da credere ch'ella sia un'eccezione anche in Norvegia: altrimenti non si saprebbe come spiegare le violenti discussioni suscitate colà al suo apparire. In ogni modo, Nora è una delle più fresche e più belle creazioni dell'arte drammatica moderna, e l'Italia ha fatto bene adottandola ed applaudendola, quantunque con qualche riserva finale. Tutta la commedia è anche tra le più teatrali, come oggi si dice, dell'illustre scrittore norvegiano: e questo può insegnarci che, scrivendo pel teatro, bisogna, innanzi tutto, non dimenticare che la così detta teatralità non è una qualità affatto secondaria in un lavoro drammatico. LUIGI CAPUANA. PERSONAGGI. HELMER, avvocato. NORA, sua moglie. IL DOTTOR RANK. LA SIGNORA LINDE. KROGSTAD, avvocato. Tre bambini di Helmer. ANNA-MARIA, governante dei bambini in casa Helmer. ELENA, cameriera in casa Helmer. Un fattorino. La scena è in casa Helmer. —— Epoca presente. ATTO PRIMO Stanza mobigliata con agiatezza e buon gusto, ma senza lusso. In fondo, a destra, l'uscio dell'anticamera; a sinistra quello della stanza di studio di Helmer. Tra i due usci, un pianoforte. A sinistra della scena un uscio e più in qua una finestra. Presso la finestra un tavolino rotondo, una poltroncina, un piccolo canapè. A destra della scena, un po' indietro, un uscio; e al primo piano un caminetto davanti a cui sono schierate alcune poltrone e una seggiola a dondolo. Tra il caminetto e l'uscio, un tavolinetto. Stampe alle pareti. Scaffalino con porcellane ed altri oggetti d'arte. Armadino con libri riccamente rilegati. Tappeto sul pavimento. Il caminetto è acceso. Giornata invernale. SCENA PRIMA. NORA, indi HELMER. (Si sente una scampanellata nell'anticamera: un istante dopo viene aperto l'uscio. Nora entra canticchiando allegramente col cappellino in testa e col mantello, e in mano parecchi pacchetti che depone sul tavolinetto, a destra. Dall'uscio dell'anticamera lasciato aperto si vede un fattorino che porta un albero di Natale e un paniere. Li consegna alla Cameriera che ha aperto la porta). NORA. Elena, nascondi bene l'albero di Natale. I bambini non devono vederlo prima di questa sera, quando sarà apparecchiato. (Al fattorino, cavando di tasca il portamonete). Quanto vi devo? IL FATTORINO. Cinquanta centesimi. NORA. Ecco una corona. Il resto è per voi. (Il fattorino saluta e va via. Nora chiude l'uscio e continua a sorridere allegramente, mentre si leva il cappellino e il mantello). NORA (cava di tasca un cartoccio di confetti, ne mangia due o tre, poi, in punta di piedi, va ad ascoltare dietro l'uscio dello studio di suo marito). Ah! È in casa. HELMER (di dentro). È l'allodoletta che gorgheggia? NORA. Sì. HELMER. È lo scoiattolo che si dimena? NORA. Sì. HELMER. Quando è tornato lo scoiattolo? NORA. Or ora. (Rimette in tasca il cartoccio dei confetti e si pulisce le labbra). Vieni, Torvaldo, vieni a vedere quello che ho comprato. HELMER (c. s.). Non mi disturbare. (Poco dopo apre l'uscio e si affaccia, con la penna in mano, per dare un'occhiata nella stanza). Hai comprato tutti questi oggetti? Lo stornellino ha di nuovo trovato modo di spendere un monte di quattrini. NORA. Sì, Torvaldo, quest'anno possiamo permetterci qualche spesina di più. È il primo Natale in cui non siamo costretti all'economia. HELMER. Sta bene, ma non dobbiamo però essere prodighi. NORA. Sì, Torvaldo, un pochino, un pocolino, pocolino. Ora che tu avrai un grosso stipendio e che guadagnerai tanto e tanto denaro... HELMER. A cominciare dall'anno nuovo. Ci vorrà un trimestre prima che io intaschi un centesimo. NORA. Che importa? Intanto potremo fare un imprestito. HELMER. Nora! (Le si avvicina e le tira un orecchio scherzando). Sempre questa leggerezza! Mettiamo il caso ch'io tolga in prestito mille corone, che tu le spenda durante le feste natalizie, e che alla vigilia del capo d'anno mi caschi una tegola sul capo... NORA (mettendogli la mano sulla bocca). Zitto, non dir queste cose... HELMER. Ammetti un istante, la mia ipotesi può accadere benissimo. E allora?... NORA. Se accadesse... Va! M'importerebbe assai l'aver debiti o no! HELMER. E le persone che mi avrebbero prestati i quattrini? NORA. Chi se ne curerebbe? Sono estranei. HELMER. Nora, Nora! Sei in tutto una donna! Parliamo seriamente. Tu sai bene come io la pensi su questo soggetto. Punti debiti, punti imprestiti. Con i debiti, con gl'imprestiti entra la schiavitù in una casa, qualcosa di laido. Abbiamo resistito fino al presente, dobbiamo resistere ancora per questi pochi mesi di prova che ci rimangono da superare. NORA (avvicinandosi al caminetto). Va bene; come tu vuoi, Torvaldo. HELMER (andandole dietro). Su, su! L'allodoletta non deve strascicar l'ala. Che? Lo scoiattolino fa il broncio! (Apre il suo portamonete). Nora, che credi tu che ci sia qui dentro? NORA. Dei quattrini. HELMER. Prendi. (Le dà alcuni biglietti). Mio Dio, si capisce che ci siano molte spese da fare in una famiglia all'avvicinarsi del Natale. NORA (contando). Dieci, venti, trenta, quaranta. Grazie, Torvaldo. Andrò avanti un pezzo con questi qui. HELMER. Per forza. Eh! NORA. Puoi contarci, vedrai! Ora, vieni qua: guarda tutto quel che ho comprato, si può dire, per nulla. Ecco: un abito nuovo per Ivar e una sciabola. Un cavalluccio e una trombetta per Bob, una bambola e un lettino per Emma. Cosettine ordinarie: le guastano così presto! Grembiuli e stoffe per le donne. La vecchia Anna-Maria meriterebbe assai più. HELMER. E questo pacchettino che contiene? NORA (con un piccolo grido). No, Torvaldo, devi saperlo soltanto questa sera. HELMER. Va bene, va bene. Ora dimmi, mani bucate, e a te che cosa piacerebbe di avere? NORA. A me? O ch'io penso forse a me? HELMER. Lo credo. Dimmi, dunque, qualche tuo desiderio... ragionevole. NORA. Non so, proprio non so!... Piuttosto... Senti Torvaldo! HELMER. Sentiamo. NORA (gingillandosi coi bottoni della veste di camera di lui, senza guardarlo in faccia). Piuttosto, se tu volessi darmi qualche cosa... potresti... HELMER. Sentiamo. NORA (tutt'a un tratto). Potresti darmi dei quattrini, Torvaldo! Una piccola somma qualunque, di cui potresti disfarti senza scomodo... Un giorno o l'altro, mi comprerei qualche cosa con essi... HELMER. Ma, Nora!... NORA. Oh, sì, sì! Non mi dirai di no, caro Torvaldo! Te ne prego. L'involterò con carta dorata e li appenderò all'albero di Natale... Sarà una cosa bizzarra! HELMER. Come si chiama l'uccello che disperde qua e là tutto quel che gli capita? NORA. Lo so, lo so, lo stornello; lo so. Fa come ti ho detto, Torvaldo; così avrò tempo di riflettere e di spendere il denaro utilmente. Non è ragionevole, di'? HELMER (sorridendo). Sarebbe così, se tu sapessi impiegar bene il denaro che ti do, a comprare qualche cosa utile. Ma tu lo spenderai tutto in nonnulla, ed io dovrò riaprire il portamonete... NORA. In verità, Torvaldo... HELMER. La verità è questa cara Norina; (le cinge la vita con le braccia): lo stornello è graziosino, ma gli occorrono troppi quattrini. È incredibile quanto costa a un pover'uomo il possedere uno stornello! NORA. Eh via! Come puoi dir questo? Io risparmio quanto posso. HELMER. Lo credo. Il male è che tu puoi poco o nulla… NORA (canticchiando e sorridendo gaiamente). Se tu sapessi quante spesettine debbono fare l'allodoletta, lo scoiattolino!... HELMER. Sei una donnina singolare, tutta tuo padre. Hai mille risorse per procurarti quattrini: avutili, ti scappano di fra le dita senza che tu mai sappia dove sian iti. Che farci? Bisogna prenderti come sei. Hai il sangue spendereccio. Sì, Nora, il sangue spendereccio. Certe inclinazioni, certi gusti sono ereditari, non se ne può dubitare. NORA. Vorrei avere ereditate molte qualità di mio padre. HELMER. Ed io ti voglio unicamente come sei, cara allodoletta! Senti: mi passa un'idea per la testa. Hai una cert'aria... che so? Un'aria un po' stravolta. NORA. Io? HELMER. Sì, tu. Guardami fisso negli occhi. NORA (lo guarda). HELMER. La golosina non ha fatto una delle sue scappatelle in città? NORA. No; perchè lo dici? HELMER. La golosina non è entrata per caso in qualche confetteria? NORA. No, te lo assicuro, Torvaldo. HELMER. Neppure l'ombra d'un confetto? NORA. Niente. HELMER. Neppure l'ombra d'una pasticca? NORA. No, te l'assicuro, no. HELMER. Andiamo! Io scherzo. NORA (avvicinandosi al tavolino a destra). Non mi passerà mai per la testa di far qualcosa che potrebbe dispiacerti; puoi esserne sicuro. HELMER. Lo so benissimo. Non mi hai data la tua parola? (Si avvicina a Nora). E ti lascio tutti i tuoi misteriucci di Natale: non saranno più misteri questa sera, appena accesi i ceri dell'albero. NORA. Ti sei ricordato d'invitare a pranzo il dottor Rank? HELMER. No; ma è inutile; va sottinteso. Pure farò l'invito fra poco, appena verrà. Ho ordinato dell'ottimo vino. Oh, tu non puoi immaginarti che festa per me sarà questa serata! NORA. Anche per me. E come saran contenti i bambini, Torvaldo! HELMER. Come consola il poter pensare che già siamo arrivati a formarci una posizione stabile, sicura e largamente remuneratrice! Non è vero? Si è felici soltanto a rifletterci. NORA. Una bellezza! HELMER. Ti ricordi l'ultimo Natale? Tre settimane avanti, ti chiudevi ogni sera fino a mezzanotte nella tua stanza, per preparare i fiori di carta dell'albero di Natale, e mille altre sorprese. Ah! È il tempo più noioso di cui mi ricordi. NORA. Io però non mi annoiavo affatto. HELMER (sorridente). Il resultato non fu gran cosa... NORA. Ecco, torni a farmi arrabbiare. Che colpa c'ebbi io, se il gatto entrò in quella stanza e rovinò tutto? HELMER. Non dico che ci avesti colpa, cara Norina. Tu avevi la buona intenzione di farci piacere, ai bambini, a me, a tutti: l'essenziale. Intanto è meglio che quei tempi difficili siano già passati. NORA. Non oso credere ancora ai miei occhi. HELMER. Ora non ti annoierai chiusa in camera sola sola; e non c'è più bisogno di tormentare i tuoi cari occhietti e le tue belle manine. NORA (battendo le mani). È vero, Torvaldo! Dio che felicità! (Gli cinge le braccia al collo). Ed ora vo' dirti come penso di disporre la nostra casa appena il Natale sarà passato. (Suonano). Suonano! (Aggiusta le poltrone della stanza). Viene qualcuno. Che noia! HELMER. Se è una visita, ricordati che io non sono in casa per nessuno. SCENA II LA CAMERIERA e DETTI. LA CAMERIERA (dall'uscio di entrata). Una signora chiede di lei. NORA. Falla entrare. LA CAMERIERA (a Helmer). Nello stesso momento è arrivato il dottore. HELMER. È passato nel mio studio? LA CAMERIERA. Sissignore. (Helmer rientra nello studio. La cameriera introduce la signora Linde che è in abito da viaggio, e poi chiude l'uscio). SCENA III. SIGNORA LINDE e DETTA. SIGNORA LINDE. Buon giorno, Nora. NORA (indecisa). Buon giorno... SIGNORA LINDE. Non mi riconosci? NORA. Infatti... non so... Ma sì, mi sembra... (Con un grido). Cristina! Sei tu? SIGNORA LINDE. Sì, sono io... NORA. Cristina! Ed io che non ti riconoscevo! Ma come mai riconoscerti? (A voce bassa) Come sei cambiata, Cristina! SIGNORA LINDE. Certamente, dopo dieci lunghissimi anni! NORA. È tanto tempo che non ci vediamo? Sicuro, è tanto tempo! Oh, gli ultimi otto anni che epoca felice; se tu sapessi! Ed eccoti in città! Viaggiare in pieno inverno! C'è voluto un bel coraggio! SIGNORA LINDE. Sono arrivata in battello questa mattina. NORA. Naturalmente per passare qui le feste di Natale. Che piacere! Come ci divertiremo! Ma cavati il mantello. Non hai freddo, è vero! (L'aiuta). È fatto. Ora ci sederemo comodamente davanti al caminetto. Tu in questa poltrona: io nella seggiola accanto; è il mio posto. (La prende per le mani). Ed ecco che tu hai già ripresa l'antica fisionomia: mentre a prima vista... Però, sei diventata palliduccia, ed anche un po' magrolina. SIGNORA LINDE. E molto, molto invecchiata, Nora. NORA. Un pochino, pochino, pochino, forse: non molto. (Si ferma tutt'a un tratto e poi con accento serio). Che matta son io! Ciarlo, ciarlo!... Mia cara, mia buona Cristina, vorrai perdonarmi? SIGNORA LINDE. Che significa? NORA. Povera Cristina, tu sei vedova… SIGNORA LINDE. Sì, da tre anni. NORA. Lo sapevo, lo lessi nei giornali. Oh! Non puoi credere quante volte pensai di scriverti allora... Ma rimandavo la lettera di giorno in giorno; poi, sopraggiungeva qualche impedimento. SIGNORA LINDE. Lo capisco. NORA. No, Cristina: ho fatto male. Poverina, chi sa quanto avrai sofferto! Tuo marito ti ha lasciato almeno da vivere? SIGNORA LINDE. No. NORA. Nè figliuoli? SIGNORA LINDE. No. NORA. Niente affatto dunque! SIGNORA LINDE. Neppure il lutto al cuore, quel rimpianto che tiene in qualche modo occupata. NORA (guardandola incredula). È mai possibile questo! SIGNORA LINDE (sorridendo amaramente e passandole le mani nei capelli). Qualche volta accade, pur troppo, cara Norina! NORA. Sola al mondo! Come deve esser triste! Io ho tre bei bambini. Non posso farteli vedere in questo momento; sono fuori di casa con la governante. Intanto mi racconterai tutto. SIGNORA LINDE. Più tardi, comincia tu. NORA. No, tocca a te: oggi non voglio essere egoista... Voglio pensare soltanto a te. Una sola cosa però devo dirti. Sai che gran fortuna ci è toccata? SIGNORA LINDE. No. Quale? NORA. Figurati! Mio marito è stato fatto direttore della Banca. SIGNORA LINDE. Tuo marito! Proprio una fortuna. NORA. Non è vero? L'avvocatura è una cosa molto precaria, specialmente quando si vogliono difendere soltanto cause buone e belle, come faceva Torvaldo; ed io l'approvo. Figurati se siamo felici! Entrerà in funzione a capo d'anno, e avrà un lauto stipendio e molti proventi. Allora, allora vivremo molto diversamente d'ora; vivremo a gusto nostro. Oh Cristina, come mi sento felice, e col cuore tranquillo! Che bella cosa aver molti quattrini, e non aver sopraccapi. Dico bene? SIGNORA LINDE. Senza dubbio. In ogni modo, è una cosa buona avere almeno il necessario. NORA. No, non solamente il necessario, ma molti, molti quattrini. SIGNORA LINDE (sorridendo). Sei tu diventata una donna ragionevole? A scuola eri una grande sciupona. NORA (sorridendo dolcemente). Torvaldo pretende che io sia tale tuttavia. Ma (minacciando col dito), Nora, Nora non è tanto matta quanto la credete. Per ora, a dir vero, ci ho poco da sciupare. Abbiamo dovuto lavorare tutti e due. SIGNORA LINDE. Anche tu? NORA. Sì, delle cosettine, dei lavorini all'uncinetto, dei ricami, ecc. (Cambiando intonazione). E ben altro anche! Tu sai che Torvaldo lasciò il Ministero appena ci sposammo. Non aveva da sperare nessun avanzamento di posto, e gli occorreva più danaro di prima. Il primo anno lavorò terribilmente. Doveva cercare, capisci, qualunque genere di occupazione supplementare, e lavorare giorno e notte. Era una cosa superiore alle sue forze e cadde ammalato mortalmente. I medici dichiararono che doveva andare nel mezzogiorno. SIGNORA LINDE. È vero. Siete rimasti un intero anno in Italia. NORA. Sì. Partire, intendi, non fu cosa facile: m'ero sgravata allora di Ivar. Ma, insomma, bisognava partire, a ogni costo. Che viaggio maraviglioso! Torvaldo gli deve la vita. Però quanti quattrini, Cristina mia! SIGNORA LINDE. Me lo figuro. NORA. Mille e dugento scudi: quattromila e ottocento corone. Sono parecchie! SIGNORA LINDE. In cotesti casi la fortuna consiste nell'averle.... NORA. Sappilo: ce le ha date il babbo. SIGNORA LINDE. Già, fu all'epoca della morte di tuo padre, mi pare. NORA. Precisamente. Figurati che strazio non potere andare a vederlo! Attendevo da un momento all'altro la nascita di Ivar; e il mio povero Torvaldo aveva bisogno di grandi cure anche lui! Buono e caro babbo! Non l'ho più riveduto! È il dolore più crudele da me sofferto dopo il mio matrimonio. SIGNORA LINDE. Lo so: gli volevi tanto bene! E così siete partiti per l'Italia. NORA. Sì, giacchè arrivarono i quattrini e i medici facevano premura. Partimmo di lì a un mese. SIGNORA LINDE. E tuo marito tornò completamente guarito? NORA. Stava d'incanto. SIGNORA LINDE. Ma.... quel dottore? NORA. Quale? SIGNORA LINDE. Mi ricordo che la cameriera ha annunziato un dottore, facendo entrare un signore nello stesso tempo che me. NORA. Il dottor Rank, sì. Non vien qui come medico; è il nostro migliore amico. Viene a trovarci per lo meno una volta al giorno. No, Torvaldo da allora in poi non è stato un solo momento indisposto. I bambini sono freschi, rosei: io sto benissimo. (Si leva a un tratto e batte le mani). Mio Dio, mio Dio, Cristina, che dolcezza, che delizia vivere ed essere felici. Ah! Ma è un orrore! Io non parlo d'altro Che dei miei affari! (Si siede su uno sgabellino a lato di Cristina e si appoggia ai suoi ginocchi). Non sei in collera?... E, dimmi, è proprio vero che tu non amavi tuo marito? Perchè lo sposasti? SIGNORA LINDE. Allora viveva tuttavia la mamma, malata e senza risorse. Avevo su le braccia due fratellini. Credetti ch'era mio dovere accettare quella richiesta. NORA. Quand'è così, hai ragione. Egli era ricco a quell'epoca? SIGNORA LINDE. Credo fosse agiato; ma d'una agiatezza male amministrata. Alla sua morte tutto andò via, si sciolse come la neve. NORA. E allora.... SIGNORA LINDE. Ho dovuto industriarmi alla meglio con un negoziuccio, una scoletta che dirigevo.... che so io? Quest'ultimi tre anni sono stati una lunga giornata di lavoro, senza punto riposo. Ora è finita, Nora mia! La mia povera mamma non ha più bisogno di me: se n'è andata! I miei fratelli nemmeno; sono già in istato di provvedere da sè ai loro bisogni. NORA. Come devi sentirti sollevata! SIGNORA LINDE. Invece, Nora mia, sento un vuoto insopportabile. Nessuno, nessuno al mondo a cui dedicarsi! (Si alza inquieta). E non ho più resistito a rimanere laggiù, in quell'angolo quasi fuor del mondo. Qui dev'esser più facile assorbirsi in qualche occupazione, distrarsi. Se potessi trovare un posticino in qualche negozio.… NORA. Ma ti pare? È così faticoso e tu hai bisogno di riposarti. Faresti meglio a andare ai bagni. SIGNORA LINDE (accostandosi alla finestra). Io non ho un babbo che mi paghi il viaggio. NORA (alzandosi). Via, non andare in collera! SIGNORA LINDE. Sentimi, Nora. Il peggio è che in uno stato pari al mio si diventa aspri. Non si ha nessuno per cui lavorare, e bisogna guardare di qua e di là per provvedere a sè stessi: bisogna vivere! E si diventa egoisti. Debbo dirtelo? Mentre tu mi mettevi a parte del buon andamento dei vostri affari, io me ne rallegravo più per me che per te. NORA. Perchè? Ah, sì, comprendo. Tu hai pensato: Torvaldo può giovarmi. SIGNORA LINDE. Sì, l'ho pensato. NORA. E sarà così, cara Cristina. Io preparerò il terreno delicatamente, troverò qualcosa di assai gentile da ben disporre Torvaldo. Sarei così contenta di esserti utile! SIGNORA LINDE. Come sei buona! Tanta premura da parte tua raddoppia di valore, perchè tu conosci così poco le miserie e i dolori della vita. NORA. Io? Tu lo credi? SIGNORA LINDE (sorridendo). Dio mio, dei lavori di ricamo, di cucito, e altre cosettine di questo genere! NORA (scrollando la testa e attraversando la scena). Non parlarne così leggermente. SIGNORA LINDE. Davvero? NORA. Tu sei come gli altri. Non mi credete buona a far niente di serio. SIGNORA LINDE. Andiamo, Nora, andiamo! NORA. Credete che io ignori il lato triste della vita. SIGNORA LINDE. Eppure tu mi hai già raccontato tutti i tuoi dispiaceri! NORA. Ah!... Quelle cose da nulla! (A voce bassa). Ma non ti ho accennato la cosa capitale. SIGNORA LINDE. Che intendi dire? NORA. Tu mi parli dall'alto della tua grandezza, Cristina, e non dovresti fare così. Sei orgogliosa di aver lavorato lungo tempo per tua madre. SIGNORA LINDE. Non parlo a nessuno dall'alto della mia grandezza. Però, è vero, sono contenta e orgogliosa pensando che, grazie a me, gli ultimi giorni di mia madre sono stati tranquilli. NORA. E sei contenta e superba anche di quello che hai fatto pei tuoi fratelli. SIGNORA LINDE. Ne ho il diritto, mi pare. NORA. Certamente. Ed ora, ascolta, Cristina. Anch'io ho un egual motivo di gioia e d'orgoglio. SIGNORA LINDE. Lo credo. Ma che cosa intendi? NORA. Parla più basso. Torvaldo non dee sentire. Per niente al mondo io non vorrei ch'egli.... Non dee saperlo, anima mia: tu sola. SIGNORA LINDE. Che cos'è dunque? NORA. Accostati. (L'attira vicino sul canapé). Sì, ascolta, anch'io posso essere orgogliosa e contenta. Sono stata io che ho salvata la vita a Torvaldo! SIGNORA LINDE. Salvata? Salvata in che modo? NORA. Ti ho già parlato del nostro viaggio in Italia. Torvaldo sarebbe morto, se non avesse potuto andare nel mezzogiorno. SIGNORA LINDE. Tuo padre ti ha dato il denaro occorrente. NORA. È quello che crede Torvaldo. Questo credono tutti. SIGNORA LINDE. Ma.... NORA. Il babbo non ci ha dato un centesimo. Il denaro l'ho procurato io! SIGNORA LINDE. Tu? Una somma così forte? NORA. Mille e dugento scudi. Quattromila e ottocento corone. Che ne dici? SIGNORA LINDE. E come hai fatto? Le hai vinte al lotto? NORA (in tono sprezzante). Al lotto? (Con gesto sdegnoso). Che merito ne avrei? SIGNORA LINDE. Insomma, donde le hai cavate? NORA (sorridendo misteriosamente e canticchiando). Uh! Tra, là, là.... SIGNORA LINDE. Non potevi prenderle in prestito. NORA. Perchè? SIGNORA LINDE. Perchè una donna maritata non può fare un imprestito senza il consenso del marito. NORA (scrollando il capo). Una donna un po' pratica! Una donna che sappia fare per benino.... SIGNORA LINDE. Non ti capisco. NORA. Non occorre che tu comprenda. Io già non ho detto d'aver fatto un debito per aver quel danaro. Me lo son procurato con altri mezzi. (Si stende sul sofà). L'ho potuto ricevere da un adoratore. Eh? con le mie attrattive! SIGNORA LINDE. Matta! NORA. Confessalo: hai una grande curiosità. SIGNORA LINDE. Non avrai commesso qualche storditezza, spero!... NORA (rizzandosi). È forse una storditezza l'aver salvata la vita al proprio marito? SIGNORA LINDE. Mi pare una storditezza l'aver cercato all'insaputa di lui.... NORA. Non doveva saperlo. Non hai capito che egli doveva ignorare la gravezza del suo stato? A me soltanto i medici avevano detto che la vita di lui era in pericolo, e che non c'era altro rimedio all'infuori di un viaggio nel mezzogiorno. Credi tu che non abbia tentato degli stratagemmi? Gli dicevo che sarei stata felice se avessi potuto viaggiare all'estero, come tant'altre giovani mogli. Piangevo, supplicavo, gli facevo intendere che avrebbe dovuto secondarmi per lo stato in cui allora mi trovavo: infine gli insinuai che avrebbe potuto fare un imprestito. Per poco non montò in furia. Mi rispose ch'ero una stordita, che il suo dovere di marito gl'imponeva di non secondare le mie fantasie e i miei capricci. Bene, bene! – dissi tra me – lo salverò ad ogni costo! – E trovai un espediente. SIGNORA LINDE. E tuo marito non ha mai saputo da tuo padre che il denaro non proveniva da lui? NORA. Mai. Il babbo morì alcuni giorni dopo. Io contavo di rivelargli tutto e pregarlo di non tradirmi: ma stava così male! Povero babbo! Non potei rivelarglielo più! SIGNORA LINDE. E d'allora in poi non ne hai detto niente a tuo marito? NORA. No, gran Dio! Ma ti pare! A lui, così severo intorno a questo punto! E poi.... Gli avrei fatto un gran dispiacere; ha tanto amor proprio virile! Gli sarebbe parso un'umiliazione il sapere che mi deve qualche cosa! Ne sarebbe venuto uno sconvolgimento, figurati! Addio questa pace di famiglia che ora godiamo! SIGNORA LINDE. E non gliene parlerai mai? NORA (riflettendo e con un sorriso). Sì... forse, col tempo, fra molti e molti anni, quando non sarò più bellina come al presente. Non ridere. Intendo dire: quando Torvaldo non mi amerà quanto ora; quando non proverà più un gran piacere nel vedermi ballare, mascherare e nel sentirmi declamare per lui solo. Allora forse, non sarà male aver qualcosa con cui rimediare al guasto degli anni.... (Interrompendosi). Eh via! Questo giorno non spunterà mai! Che ne dici, Cristina, del mio gran segreto? Son buona anch'io a qualche cosa? Oh credimi; quest'affare mi ha dato grandi noie. Non era facile, capisci, pagare a data fissa. In questo genere di affari c'è una cosa che chiamano il trimestre, c'è l'ammortizzazione; ed è difficilissimo trovarsi sempre pronti quando è il momento. Ho dovuto fare economia su ogni cosa. Nelle spese di famiglia c'era ben poco da rosicchiare. Torvaldo doveva vivere con tutti i suoi comodi. Non potevo far andare mal vestiti i bambini! Quello che ricevevo per conto loro mi pareva sacro, cari angioletti. SIGNORA LINDE. Restavano le tue spese personali, povera Nora: e tu hai dovuto prelevar tutto da esse? NORA. Naturalmente. Ed era giusto. Ogni volta che Torvaldo mi dava del danaro pei miei abiti, ne spendevo la metà: compravo le stoffe più a buon mercato. Per fortuna anche un cencio mi sta bene, e Torvaldo non si è mai accorto di nulla. Pure, talvolta n'ho sofferto, cara Cristina. Fa tanto piacere essere elegante. È vero? SIGNORA LINDE. Lo credo. NORA. Ho altre piccole entrate. L'inverno scorso ebbi la fortuna di trovar da copiare molto. Mi chiudevo in camera, e scrivevo l'intera nottata. Spesso ero così stanca! Così stanca! Non per tanto mi sembrava un divertimento lavorare per guadagnare quattrini. Mi reputavo quasi un uomo. SIGNORA LINDE. E così, quanto hai tu potuto pagare finora? NORA. Non te lo saprei dire precisamente; sono così complicati gli affari di questo genere! So che ho pagato tutto quello che ho potuto. Spesso non sapevo dove dar di capo. (Sorride). Allora immaginavo un ricco signore innamorato pazzo di me. SIGNORA LINDE. Che? Quale signore? NORA. Sciocchezze!... Egli moriva, aprivano il testamento e vi si trovava scritto: «Lascio tutto il mio alla signora Nora Helmer che sarà messa subito in possesso.» SIGNORA LINDE. Ma, Nora mia, chi è costui? NORA. Oh Dio! Non capisci dunque? Il vecchio signore non esisteva; ma ogni volta che non sapevo in che modo procurarmi del denaro, ogni volta mi sentivo presa da questa fantasia. Ora non me ne importa più. Costui sia dove vuole, non so più che farmi di lui, nè del suo testamento; ora sono tranquilla. (Si alza vivamente). Signore! Che felicità al solo pensarlo! Cristina! Tranquilla! Poter essere tranquilla, assolutamente tranquilla, far il chiasso coi bambini, arredar la casa con gusto come l'ama Torvaldo. Poi verrà la primavera e il cielo azzurro. Forse potremo fare qualche viaggetto, riveder il mare! Com'è delizioso vivere ed essere felice! (Suonano). SIGNORA LINDE. Suonano, debbo ritirarmi! NORA. Resta, non verrà nessuno: probabilmente è Torvaldo. SCENA IV. DETTE, la GOVERNANTE e poi KROGSTAD. LA GOVERNANTE. Scusi, signora. C'è uno che vuol parlare al signor avvocato. NORA. Al signor direttore vuoi dire. LA GOVERNANTE. Sì, al signor direttore. Siccome c'è là il dottore, io non so... KROGSTAD (apparendo). Sono io, signora. SIGNORA LINDE (trasalisce, si turba, e si volta verso la finestra). NORA (fa qualche passo verso di lui, e turbata gli dice a mezza voce). Lei? Che cosa c'è? Che vuol dire a mio marito? KROGSTAD. È a proposito della Banca. Ho là un impieguccio, e ho saputo che suo marito sta per diventare il nostro capo. NORA. Capisco. KROGSTAD. Affari noiosi, signora: nient'altro. NORA. Abbiate pazienza di entrare nello studio. (Lo saluta negligentemente, e chiuso l'uscio dell'anticamera, va verso il caminetto). SCENA V. NORA e SIGNORA LINDE. SIGNORA LINDE. Nora... chi è costui? NORA. L'avvocato Krogstad. SIGNORA LINDE. È proprio lui dunque. NORA. Lo conosci? SIGNORA LINDE. Lo conobbi parecchi anni fa. Per qualche tempo fu procuratore da noi. NORA. È proprio lui. SIGNORA LINDE. Com'è cangiato! NORA. Credo abbia fatto un matrimonio infelice. SIGNORA LINDE. È vedovo ora, mi pare? NORA. E con un mucchio di figliuoli. Brava! Sto per bruciarmi! (Tira indietro la sua seggiola a dondolo). SIGNORA LINDE. Dicono che s'occupi di affari di ogni sorta. NORA. Sì? È possibile. Non ne sono informata. Ma non parliamo d'affari: è una cosa così noiosa! (Entra il dottor Rank, venendo dalla camera di Helmer). SCENA VI. DETTE e il DOTTOR RANK. RANK (tenendo l'uscio socchiuso). No, non voglio disturbarti: entrerò piuttosto un momento dalla tua signora. (Chiude l'uscio e s'accorge della signora Linde). Scusi: disturbo anche qui? NORA. Niente affatto. (Presentandoli). Il dottor Rank: la signora Linde. RANK. Un nome che si sente pronunziar spesso in questa casa. Mi pare di esserle passato innanzi per la scala, venendo. SIGNORA LINDE. Sì, salgo così difficilmente le scale. RANK. Un po' logora, a quel che vedo. SIGNORA LINDE. Piuttosto molto stanca. RANK. Nient'altro? Allora è venuta in città probabilmente per riposarsi andando dietro alle feste? SIGNORA LINDE. Sono venuta a cercarvi lavoro. RANK. Sarebbe, per caso, un rimedio efficace contro la stanchezza? SIGNORA LINDE. Bisogna vivere, dottore. RANK. È un'opinione generale: tutti lo affermano necessario. NORA. Credo, caro dottore, che ami la vita anche lei. RANK. Certamente: l'amo. Misero qual sono, voglio assolutamente soffrire il più lungamente possibile. Tutti i miei malati hanno un ugual desiderio. Questa è anche l'opinione di coloro che sono malati moralmente. Ne ho lasciato or ora uno di là, da Helmer; lo curo io. C'è degli ospedali per i malati di quel genere. SIGNORA LINDE (con voce soffocata). Ah! NORA. Che intendete dire? RANK. Parlo dell'avvocato Krogstad, una persona che lei non conosce. È ridotto un putridume: ebbene, anche lui va affermando come una cosa d'alta importanza: è necessario che io viva. NORA. Davvero? E di che ragionava con Helmer? RANK. Non so: ho capito soltanto che si trattava d'un affare che riguarda la Banca. NORA. Non sapevo che Krog... che il signor Krogstad avesse da fare con la Banca. RANK. Sì: gli hanno dato una specie d'impiego. (Rivolgendosi alla signora Linde). Non so se si trovi anche da voi certa razza d'uomini che si occupa di scovare il laidume morale. Trovato l'individuo colpito di questo genere di malattia, essi lo mettono in istato di osservazione, procurandogli questo o quell'altro buon posto. Chi sta bene rimanga fuori. SIGNORA LINDE. Appunto i malati hanno bisogno di cura. RANK (facendo una spallata). Ecco: questa opinione riduce la società un ospedale. NORA (che è rimasta assorta nei propri pensieri, si mette a ridere e batte le mani). RANK. Perchè ride? Sa lei forse che cosa sia la società? NORA. E chi si occupa della sua società? Ridevo per tutt'altro, per una stranezza. Mi dica, dottore: da ora in poi tutti quelli che hanno un impiego nella Banca dipenderanno da Torvaldo? RANK. E questo vi diverte tanto? NORA (sorridendo e canticchiando). Non mi badate. (Va attorno per la stanza). È così strano, è così incredibile che noi... che Torvaldo abbia ora tanta influenza su tanta gente! (Cava di tasca il cartoccio dei confetti). Dottore, vuole dei confetti? RANK. Che? Dei confetti? Credevo che qui fossero merce di contrabbando. NORA. Sì, ma questi me li ha dati Cristina. SIGNORA LINDE. Io? NORA. Via, via, non ti spaventare. Tu non potevi sapere che Torvaldo mi ha proibito di mangiarne. Ti dirò: teme pei miei denti. Puh! Una volta può passare, è vero dottore? Prenda. (Gli mette un confetto in bocca). Anche tu, Cristina. Io ne mangerò soltanto uno, il più piccino o... due, al più. (Torna ad aggirarsi per la stanza). Ed eccomi proprio felice, felicissima! C'è soltanto una cosa di cui ho una voglia matta a questo mondo. SIGNORA LINDE. Sentiamo, che cosa è? NORA. È una cosa che vorrei dire davanti a Torvaldo: ne ho una voglia matta. RANK. Lo dica, dunque? NORA. Non oso: è una cosa assai brutta. SIGNORA LINDE. Assai brutta? RANK. In tal caso è meglio non dirla: però potrebbe dirla davanti a noi. Qual è questa voglia matta? NORA. Vorrei dire: Sacrebleu! RANK. Pazzerellina! SIGNORA LINDE. Via, Nora! RANK. Può dirglielo: eccolo. NORA. (nascondendo i confetti). Zitti, zitti! (Entra Helmer dalla sua camera, con il soprabito sul braccio e il cappello in mano). SCENA VII. DETTI e HELMER. NORA (andandogli incontro). Ebbene, caro Torvaldo, sei riuscito a sbarazzartene? HELMER. Sì: è andato via. NORA. Posso presentarti? Cristina che è venuta qui... HELMER. Cristina? Scusami, veramente non so... NORA. La signora Linde, la mia cara Cristina Linde... HELMER. Ah! Benissimo. Probabilmente un'amica d'infanzia di mia moglie. SIGNORA LINDE. Sì; ci siamo conosciute tempo fa. NORA. Figurati: ha fatto questo viaggio apposta per parlarmi. HELMER. Proprio? SIGNORA LINDE. Non unicamente per questo. NORA. Senti: Cristina è così abile per lavorare a un banco e poi desidera così ardentemente di essere sotto la direzione di un uomo di mente elevata e di acquistare maggiore esperienza. HELMER. Ha ragione, signora. NORA. Avendo letto che tu sei diventato direttore della Banca – i dispacci l'hanno annunziato – si è messa subito in viaggio. Tu farai qualche cosa per giovare a Cristina, è vero? Per far piacere anche a me. HELMER. Non sarà forse difficile. La signora è vedova, suppongo? SIGNORA LINDE. Sì. HELMER. Ed ha l'abitudine del lavoro di banco? SIGNORA LINDE. A bastanza. HELMER. In questo caso è probabilissimo ch'io possa procurarle un posto. NORA (battendo le mani). Vedi? HELMER. Lei arriva nel momento opportuno. SIGNORA LINDE. Come ringraziarla? HELMER. Oh, non ne parliamo. (Indossa il soprabito). Oggi bisogna scusarmi. RANK. Aspetta, ti accompagno. (Va a prendere la sua pelliccia nell'anticamera e va a scaldarla al caminetto). NORA. Non star molto, Torvaldo. HELMER. Un'oretta, non più. NORA. Anche tu, Cristina, vai via? SIGNORA LINDE (indossando il mantello). Debbo cercarmi un alloggio. HELMER. Faremo un po' di strada insieme. NORA (aiutandola). Mi dispiace che noi siamo così ristretti! È proprio impossibile. SIGNORA LINDE. Ma ti pare! Arrivederci, Nora, e grazie. NORA. A rivederci. Tornerai questa sera, s'intende. Anche lei, dottore. Come? Se sta bene? Che significa? Basta coprirsi. (Essi escono, parlando, dall'uscio dell'entrata. Si sentono le voci dei bambini per le scale). NORA. Eccoli! Eccoli! (Accorre per aprire. Entrano Anna-Maria e i bambini). SCENA VIII. DETTI, ANNA-MARIA ed i BAMBINI. NORA. Entrate, entrate. (Si china e li abbraccia) Amore mio! Guarda, Cristina: non sono carini? RANK. Ritiratevi, evitate questa corrente d'aria. (Rank, Helmer e la signora Linde scendono la scala. Anna-Maria entra in iscena con i bambini; poi Nora, dopo aver chiusa la porta). SCENA IX. NORA, ANNA-MARIA ed i BAMBINI. NORA. Che aria fresca e gagliarda voi avete! E che gote rosse! Come delle mele, come delle rose. (I bambini le parlano tutti insieme sino alla fine della scena). Vi siete divertiti? Bravi! Sì? Tu hai tirato il carrettino con Emma e Bob? Proprio? Tutti e due? Tu sei un bambino forte, Ivar. Oh, lasciamela un altro poco, Anna-Maria! Cara bambina mia! (Prende la piccola delle bambine e balla con essa). Sì, la mamma ballerà anche con Bob. Che? Avete fatto alle palle di neve? Avrei voluto esserci anch'io. No, lasciami fare, Anna-Maria. Voglio svestirli io stessa. Lasciami fare: mi diverte. Va di là intanto; sei gelata. C'è del caffè caldo in cucina. (La governante va via dall'uscio a sinistra: Nora leva ai bambini mantelli e cappelli, sparpagliandoli qua e là. I bambini continuano a parlare). NORA. Davvero? Un gran cane vi è corso dietro? Ma non mordeva. No, i cani non mordono le belle bamboline come voi. Ivar, non si guarda nei pacchetti. No, no; ci sono delle cose brutte: non si guarda. Ah! volete giocare? Come? A capinascondere? Sì, giochiamo a capinascondere. Bob si nasconderà il primo. Io? Sì, io, io. (Nora e i bambini si mettono a giocare, gridando e ridendo per la scena e nella camera accosto. Poi, Nora si nasconde sotto il tavolino. I bambini sopravvengono insieme e la cercano senza poterla trovare. Sentono, le sua risa soffocate, si precipitano verso il tavolino, alzano la coperta e, vedendola, scoppiano in gridi di gioia. Durante questo tempo è stato picchiato all'uscio di entrata, senza che nessuno abbia udito. Krogstad si affaccia all'uscio e attende un momento. Il gioco continua). SCENA X. DETTI e KROGSTAD. KROGSTAD. Senta, signora Helmer. NORA (getta un grido e si alza sui ginocchi). Che cerca qui? KROGSTAD. La porta d'entrata era socchiusa. Qualcuno avrà dimenticato di chiuderla. NORA (alzandosi). Mio marito non è in casa, signor Krogstad. KROGSTAD. Lo so. NORA. Che vuole dunque? KROGSTAD. Dire una parola a lei. NORA. A me? (Sottovoce ai bambini). Andate da Anna-Maria! Che? Oh, questo signore non vuol far male alla mamma. Quando sarà andato via, riprenderemo a giuocare. (Conduce i bambini nella camera a sinistra, e chiude l'uscio). NORA (inquieta e agitata). Vuol parlare con me? KROGSTAD. Sì. NORA. Oggi? Ma non siamo ancora al primo del mese. KROGSTAD. Siamo alla vigilia di Natale. Dipende da lei fare un buono o un cattivo Natale. NORA. Che desidera? Oggi, mi è assolutamente impossibile. KROGSTAD. Di questo riparleremo a suo tempo. Si tratta d'altro. Può accordarmi alcuni minuti? NORA. Sì, sì; quantunque.... KROGSTAD. Benissimo. Ero alla trattoria Olsen, e vidi passare suo marito. NORA. Ah! KROGSTAD. Con una signora.... NORA. Ebbene?... KROGSTAD. Posso farle una domanda? Era la signora Linde, è vero? NORA. Sì. KROGSTAD. È arrivata da poco tempo in città. NORA. Oggi stesso. KEOGSTAD. È sua amica? NORA. Sì; ma non capisco…. KROGSTAD. L'ho conosciuta anch'io, tempo fa. NORA. Lo so. KROGSTAD. È già informata: me lo figuravo. Mi permetta allora di domandarle se essa avrà un posto alla Banca. NORA. E osa domandarmelo, lei subordinato di mio marito? Poichè me lo domanda glielo dirò. Avrà un posto e pei miei buoni uffici, signor Krogstad. Eccovi a giorno di tutto. KROGSTAD. Avevo indovinato. NORA (passeggiando su e giù). Abbiamo qualche po' d'influenza, come vede. Quantunque donna, a volte.... E poi, signor Krogstad, quando uno si trova in un posto di subalterno, conviene che si guardi dall'urtare qualcuno, che.... ha.… KROGSTAD. Che ha dell'influenza? NORA. Precisamente. KROGSTAD (cambiando tono). Signora Helmer, vorrebbe ella avere la bontà di adoperare la sua influenza in mio favore? NORA. In che modo? Che significa?... KROGSTAD. Vorrebbe ella avere la bontà di fare in maniera che io non perda il mio modesto posticino alla Banca? NORA. Perchè dice, questo? Chi pensa a levarglielo? KROGSTAD. Oh! è inutile finger d'ignorare. Capisco benissimo che la sua amica non ami d'incontrarsi con me. Ora so, ora so a chi debbo la perdita del mio posto. NORA. Le assicuro.... KROGSTAD. Due sole parole. Si è ancora in tempo: le consiglio di adoprare la sua influenza per impedire la mia disgrazia. NORA. Ma io non ne ho alcuna, signor Krogstad. KROGSTAD. Come? Poco fa ella mi diceva.... NORA. In un altro senso. E può credere che io abbia potere su mio marito? KROGSTAD. Con suo marito ci conosciamo sin da studenti. E non credo che il signor direttore della Banca sia diverso degli altri mariti. NORA. Se parlate male di mio marito vi metto fuori dell'uscio. KROGSTAD. La signora è piena di coraggio.... NORA. Non la temo più. Passato il nuovo anno non tarderò a liberarmi. KROGSTAD (dominandosi). Ascolti bene, signora: se occorre, per non perdere il mio posto, io combatterò come se si trattasse per me d'un affare di vita o di morte. NORA. Si vede, infatti. KROGSTAD. Non per lo stipendio; è il meno; ma per ben altro. Via le dirò ogni cosa. Ella sa, al pari di tutti, che tempo addietro commisi un'imprudenza. NORA. Mi sembra averne inteso parlare. KROGSTAD. L'affare non fu portato ai tribunali: però da quel giorno mi fu chiusa ogni via. Allora mi tuffai negli affari che lei sa. Qualcosa bisognava fare, e credo di non aver fatto peggio di tanti altri. I miei figli crescono; e per essi ho bisogno di quanta più stima è possibile. Questo posticino alla Banca era un primo scalino. Ed ecco, suo marito mi ributta indietro e mi fa ricascare nel fango. NORA. In nome di Dio, signor Krogstad!... Ma io non posso aiutarla in nulla. KROGSTAD. Non vuole. Però io ho in mano i mezzi di forzarla ad agire. NORA. Non dirà, spero, a mio marito che le devo dei quattrini. KROGSTAD. E se glielo dicessi? NORA. Sarebbe un'indegnità da parte sua. (Con le lagrime nella voce). Questo segreto è la mia gioia, il mio orgoglio; e Torvaldo dovrebbe saperlo in maniera così villana? No, Lei mi esporrebbe a gravi dispiaceri. KROGSTAD. A gravi dispiaceri soltanto? NORA (vivamente). Glielo dica pure: sarebbe peggio per lei. Mio marito capirebbe meglio con che razza di uomo ha da fare, e lei perderebbe il posto con certezza. KROGSTAD. Senta: non teme altro che i dispiaceri domestici? NORA. Saputa la cosa, mio marito pagherà subito; ed eccoci sbarazzati di lei. KROGSTAD (facendo un passo verso di Nora). Senta, signora Helmer; o lei ha poca memoria, o non è pratica degli affari. Debbo darle qualche schiarimento. NORA. Quale? KROGSTAD. All'epoca della malattia di suo marito, lei venne da me per un imprestito di cento scudi. NORA. Non conoscevo altri. KROGSTAD. Le promisi di procurarle la somma. NORA. E me la procurò. KROGSTAD. Promisi, con certe condizioni. Allora lei era talmente agitata per la malattia di suo marito e così pressata d'aver in mano i danari pel viaggio che probabilmente non badò a certi particolari: è giusto che glieli rammenti. Ecco. Promisi di procurarle quel danaro mediante una ricevuta che scrissi io stesso. NORA. Sì, e che io firmai. KROGSTAD. Appunto. A piè della ricevuta aggiunsi però alcune righe di garanzia; che suo padre doveva firmare. NORA. Doveva? Che mio padre firmò. KROGSTAD. Avevo lasciato in bianco la data, perchè suo padre indicasse egli stesso la data della firma; si rammenta? NORA. Sì, sì, mi pare…. KROGSTAD. E le diedi la ricevuta, che lei doveva inviare per posta a suo padre. Fu così, è vero? NORA. Così. KROGSTAD. Lei spedì subito la ricevuta; di lì a cinque giorni me la riportò con la firma paterna, ed io le consegnai i quattrini. NORA. Precisamente. Non ho pagato a ogni scadenza? KROGSTAD. Press'a poco. Ma, per tornare al nostro discorso, allora correvano giorni molto difficili per lei. NORA. È vero. KROGSTAD. Suo padre era malato, mi pare. NORA. Era morente. KROGSTAD. Morì poco dopo. NORA. Sì. KROGSTAD. Si rammenta, per caso, la data della morte di suo padre? In qual giorno del mese? NORA. Il ventinove settembre. KROGSTAD. Sissignora, il ventinove settembre. E per ciò non so comprendere (cava un portafogli dalla tasca) una cosa.... NORA. Che cosa? KROGSTAD. Come possa egli aver firmato la ricevuta tre giorni dopo la sua morte. NORA (tace). KROGSTAD. Può spiegarmelo? NORA (continua a tacere). KROGSTAD. È evidente anche che le parole 2 ottobre non sono della stessa calligrafia di suo padre, ma di un'altra che io credo di riconoscere. Però questo può spiegarsi. Suo padre avrà dimenticato di mettere la data della firma, e un'altra persona ve l'ha aggiunta, prima di apprendere la notizia della morte. Non è un gran male. La cosa essenziale è che la firma sia autentica. È autentica, è vero, signora? Ha proprio firmato suo padre? NORA (dopo un istante di silenzio, alza la testa e lo fissa con aria provocatrice). Ho scritto io il nome di papà. KROGSTAD. Capisce lei il pericolo in cui la mette questa confessione? NORA. Che pericolo? Fra non molto lei sarà pagato. KROGSTAD. Scusi, una domanda. Perchè non mandò la ricevuta a suo padre? NORA. Non era possibile. Papà trovavasi gravemente malato. Chiedendogli del denaro, dovevo spiegargli perchè mi serviva: e, nel suo stato, non potevo dargli la cattiva notizia che la vita di mio marito correva pericolo. Era impossibile. KROGSTAD. In questo caso sarebbe stato meglio rinunziare al viaggio. NORA. Impossibile egualmente: ne dipendeva la vita di mio marito. Come rinunziarvi? KROGSTAD. E non le passò pel capo che commetteva una grave sconvenienza verso di me? NORA. In quel momento! E che mi importava di lei? Mi eravate venuto in uggia per tutte quelle fredde ragioni che mettevate innanzi, pur sapendo che mio marito era in pericolo. KROGSTAD. Signora Helmer, evidentemente lei non ha un'idea chiara della colpa che ha commesso. L'atto che ha rovinato la mia posizione sociale non era più criminale di questo. NORA. E che? Avrebbe lo stesso coraggio per salvare la vita di sua moglie? KROGSTAD. Il codice non bada ai motivi che possono aver suggerito un'azione. NORA. Vuol dire che il codice è cattivo. KROGSTAD. Cattivo o no, se io mostrassi questa carta ai tribunali, lei verrebbe giudicata secondo il codice. NORA. Non me ne persuado. Una figlia non ha dunque il diritto di risparmiare al proprio padre morente inquietudini e angoscie? Una moglie non ha il diritto di salvar la vita di suo marito? Forse io non conosco il codice: ma son sicura che in qualche posto dev'esser scritto che tali cose son permesse. E lei non lo sa? Ed è avvocato? Mi sembra poco abile come uomo di legge, signor Krogstad. KROGSTAD. Può darsi! Ma di questo genere di affari che abbiamo per le mani credo d'intendermene: ne conviene? Ora faccia quel che le pare... e dirò soltanto che, se sarò cacciato via una seconda volta, lei verrà a tenermi compagnia. (Saluta ed esce). SCENA XI. NORA poi i BAMBINI. NORA (riflette un istante, poi crolla la testa). Che! Che! Vuol farmi paura. Non sono così sciocca come egli s'immagina. (Si mette a rammassare i vestiti dei bambini; a un tratto si arresta). Pure... No, non è possibile, ho agito così per amore. I BAMBINI (dall'uscio a sinistra). Mamma, quel signore è andato via. NORA. Lo so, lo so. Ma non dite a nessuno che è stato qui. Capite? Nemmeno al babbo. I BAMBINI. No, mamma. Vuoi giocare ora? NORA. Ora, no, I BAMBINI. Mamma! Ce l'avevi promesso! NORA. Non posso; andate. Ho tanto da fare. Andate, carini! (Li rimanda con dolcezza e chiude l'uscio) SCENA XII. NORA poi la CAMERIERA. NORA (siede sul sofà, prende un ricamo e fa qualche punto, ma s'interrompe subito). No! (Butta via il ricamo, s'alza, va all'uscio d'entrata e chiama). Elena! portami l'albero di Natale. (Si avvicina al tavolino a sinistra e apre la cassetta). No, è proprio impossibile. LA CAMERIERA (portando l'albero di Natale). Dove debbo metterlo, signora? NORA. Lì, in mezzo. LA CAMERIERA. Debbo portar altro? NORA. Grazie: ho tutto qui. LA CAMERIERA (posa l'albero nel centro della stanza e va via). NORA (apparecchiando l'albero). Qui le candele! Là i fiori! Brutt'anno! Sciocchezze! Stupidaggini! L'albero di Natale sarà bello. Io farò tutto quello che tu vorrai, Torvaldo: ballerò per te, canterò... (Entra Helmer con un plico di carta sotto braccio). SCENA XIII. NORA e HELMER. NORA. Oh! Eccoti di ritorno. HELMER. Sì, eccomi. È venuto nessuno? NORA. Qui? Nessuno. HELMER. È strano. Ho visto uscir Krogstad dal portone di casa. NORA. Ah! È vero: è venuto Krogstad. HELMER. Te lo leggo in viso. È venuto a pregarti di parlarmi in favor suo. NORA. Sì. HELMER. Come se la cosa fosse venuta da te; e per ciò dovevi nascondermi... Ho indovinato. NORA. Sì, Torvaldo; però…. HELMER. Nora! Nora! Agire a questo modo! Parlare con un uomo simile e fargli una promessa... E poi, per soprammercato, dire una bugia! NORA. Una bugia? HELMER. Non mi hai detto che non era venuto nessuno? (La minaccia col dito). Eh mia cara allodoletta, non dovrai farlo più! Un'allodoletta deve avere il becco pulito per gorgheggiare giusto, senza note false. (La prende per la vita). Dico bene? Lo sapevo! (La lascia andare). E non se ne parli più! (Siede davanti il caminetto). Come si sta bene qui! (Sfoglia le sue carte. Nora prosegue a ornare l'albero. Pausa). NORA. Torvaldo! HELMER. Che vuoi? NORA. Come sono contenta di andare domani l'altro al ballo in costume dei Stenborg! HELMER. Ed io sono curiosissimo della sorpresa che ci prepari. NORA. Ah, che rabbia! HELMER. Perchè? NORA. Non poter trovare un costume bello! Sono tutti assurdi, insignificanti! HELMER. Ah! La Norina non è contenta! NORA (dietro la seggiola con i gomiti sulla spalliera). Hai fretta, Torvaldo? HELMER. Oh!... NORA. Che cosa sono queste carte? HELMER. Affari di banca. NORA. Di già? HELMER. Mi son fatto dare dal direttore uscente pieni poteri per fare i cambiamenti necessari nel personale e nell'organizzazione degli uffici. Impiegherò in questo lavoro tutta la settimana di Natale. Voglio che tutto sia pronto per l'anno nuovo. NORA. Per questo quel povero Krogstad... HELMER. Uhm... NORA (spassandogli la mano fra i capelli). Se tu non avessi fretta, vorrei chiederti un gran servigio, Torvaldo. HELMER. Sentiamo questo servigio? NORA. Tu hai un gran gusto: ed io vorrei fare bella figura al ballo in costume. Torvaldo, dovresti occuparti un pochino per me e scegliere. HELMER. Ah! Ah! La testardina chiama soccorso! NORA. Sì, Torvaldo. Io non posso prendere nessuna decisione senza di te. HELMER. Via, rifletteremo, e qualcosa troveremo... NORA. Come, sei gentile! (Ella ritorna all'albero di Natale. Pausa). Che bell'effetto, questi fiori! Dimmi, Krogstad, ha fatto dunque delle cose brutte assai? HELMER. Dei falsi. Capisci tu che vuol dire? NORA. Forse spinto dalla miseria. HELMER. Sì, ed ha agito alla leggera, come parecchi altri. Io non sono così spietato da condannare un uomo per un sol fatto di questo genere. NORA. Non è vero, Torvaldo? HELMER. Uno può redimersi, moralmente, a patto che confessi la sua colpa e ne subisca la pena. NORA. La pena? HELMER. Krogstad ha preso un'altra via. Ha tentato di cavarsela con espedienti, con abilità. E si è moralmente rovinato. NORA. Lo credi? HELMER. Pensa soltanto a questo: un uomo come lui, con la coscienza della sua colpa, deve mentire, dissimulare ogni momento. Deve portare una maschera nella propria famiglia, sì, al cospetto di sua moglie e de' suoi figli. E, pensando ai figli, questa è una cosa che fa orrore... NORA. Perchè? HELMER. Perchè cotesta atmosfera di vergogna spande il suo contagio di principî malsani nella vita di una famiglia. A ogni respiro, i figli ne assorbiscono i cattivi germi. NORA (avvicinandosi a lui). Sei tu certo, di questo? HELMER. Certissimo, cara. Da avvocato ho avuto molte occasioni di osservarlo e persuadermene. Tutti i depravati precoci hanno avuto madri bugiarde. NORA. Cosa c'entrano le madri? HELMER. Più frequentemente opera la loro influenza; anche quella del padre s'intende. Gli avvocati lo sanno bene. E con tutto questo, Krogstad, avvocato, per anni e anni, ha avvelenato i propri figliuoli con la sua atmosfera di menzogna e di dissimulazione. Ecco perchè io lo chiamo un uomo moralmente perduto. (Le tende le mani). Ed ecco perchè la mia bella Norina deve promettermi di non parlarmi in favore di lui. Dammi la tua parola. Che c'è? Porgimi le mani. Così. È deciso. Ti assicuro, che mi sarebbe impossibile lavorare insieme con lui. Io provo un senso di malessere fisico con le persone sue pari. NORA (ritira le sue mani, e va a mettersi dall'altro lato dell'albero). Che aria greve qui dentro! Ed io ho tanto da fare. HELMER (alzandosi e raccattando le sue carte). Voglio dare un'occhiata a una buona metà di queste carte prima di desinare. E poi penserò al tuo costume. Forse ho qualche cosa anch'io, un involtino in carta dorata da appendere all'albero... Chi lo sa? (Le posa le mani sulla testa). Cara lodoletta mia! (esce). SCENA XIV. NORA e ANNA-MARIA. NORA (dopo un istante di silenzio, sottovoce). No, non è vero! È impossibile! Non dev'essere... ANNA-MARIA (dall'uscio a sinistra). I bambini vogliono venir qui, a tutti i costi. NORA. No, no, non lasciarli venire. Resta tu con loro. ANNA-MARIA. Sì, signora. NORA (pallida di spavento). Depravare i miei bambini! Avvelenare la casa! (Ella alza la testa). Non è vero! È falso come è vero ch'io esisto! FINE DELL'ATTO PRIMO. ATTO SECONDO La stessa scena. L'albero di Natale spogliato è posto in un canto presso il pianoforte. Il cappellino e il mantello di Nora sono buttati sul sofà. SCENA PRIMA. NORA, sola, va e viene agitata; alla fine si ferma davanti il sofà e prende il mantello. NORA (lasciandolo). Qualcuno è entrato! (Va a origliare). No, non è per oggi, giorno di Natale; e neppure per domani... Ma forse... (Apre la porta e guarda fuori). La cassetta per le lettere è vuota. Matta! Prendo sul serio quelle minacce! Può darsi mai? Con tre bambini che ho. SCENA II. DETTA e ANNA-MARIA. (Anna-Maria, portando una grande scatola di cartone, entra dall'uscio a sinistra). ANNA-MARIA. Finalmente ho trovata la scatola col costume. NORA. Va bene; mettila su quel tavolino. ANNA-MARIA (eseguendo l'ordine). Il costume è sciupato. NORA. Ah! vorrei strapparlo in mille pezzi. ANNA-MARIA. Può esser aggiustato facilmente: ci vuole però un po' di pazienza. NORA. Andrò a pregare la signora Linde perchè venga ad aiutarmi. ANNA-MARIA. Andar di nuovo fuori con questo tempaccio? La signora s'infredderà, cadrà malata. NORA. Non sarebbe il peggio che può accadermi. I bambini come stanno? ANNA-MARIA. Si divertono con i loro regali di Natale: però... NORA. Parlano spesso di me? ANNA-MARIA. Sono tanto abituati a stare con la mamma. NORA. È vero; ma capisci, per l'avvenire io non potrò stare troppo spesso con loro. ANNA-MARIA. Si adatteranno. NORA. Lo credi? Credi che dimenticherebbero la mamma se se n'andasse per sempre? ANNA-MARIA. Per sempre? Dio non voglia! NORA. Dimmi, Anna-Maria; me lo son dimandato sovente: come hai avuto il coraggio di affidare la tua bambina a degli estranei? ANNA-MARIA. Era necessario, dovendo allattare Norina. NORA. Ed hai avuto cuore di deciderti? ANNA-MARIA. Con in vista un sì buon posto? Era una fortuna per una povera ragazza che aveva avuto una disgrazia. Quell'uomo da forca non voleva far nulla per me. NORA. La tua bambina ti avrà già dimenticata. ANNA-MARIA. Niente affatto. Mi scrisse quando fece la sua prima comunione e poi quando prese marito. NORA (gettandole le braccia al collo). Mia buona vecchierella, tu sei stata quasi una mamma per me quand'ero piccina ANNA-MARIA. Lei non aveva altri che le facesse da mamma. NORA. E se i miei bambini mi perdessero, io son sicura che tu!... Sciocchezze, che mi passano pel capo!... (Apre la scatola). Va' dai bambini. Conviene che... Vedrai come sarò carina domani sera. ANNA-MARIA. Non ci sarà in quel ballo chi potrà star a paro della mia signora. (Va via dall'uscio a sinistra). NORA (apre la scatola e la getta via). Se osassi uscir di casa! Se fossi sicura di non esser vista da nessuno! Se sapessi che intanto non verrebbe nessuno- a cercarmi! Matta! Chi potrebbe venire? Non riflettiamo più! Due colpi di spazzola al manicotto! Che bei guanti! Che bei guanti! Smetti queste sciocchezze! Una, due, tre, quattro, cinque!.... (Getta un grido). Ah! eccoli! (Vuol andare verso la porta e resta indecisa. Entra la Signora Linde dopo aver deposto nell'anticamera mantello e cappellino). SCENA III. DETTA e SIGNORA LINDE. NORA. Ah sei tu, Cristina! Non c'è altri con te? Giungi a proposito. SIGNORA LINDE. Mi hanno detto che eri venuta a cercarmi. NORA. Sì, passando per caso davanti la porta di casa tua, volevo pregarti di darmi una mano. Siedi sul sofà. Ecco di che si tratta. Domani ci sarà un ballo in costume, dal console Stenborg, al piano di sopra. Torvaldo vuole che io mi mascheri da figlia di pescatore napolitano e che balli la tarantella appresa a Capri. SIGNORA LINDE. Una rappresentazione completa. NORA. Torvaldo vuole così. Ecco il mio costume. Egli l'ha fatto lavorare laggiù, ed è arrivato così sciupato, che io non so veramente… SIGNORA LINDE. Lo aggiusteremo in pochi minuti. Soltanto la guarnizione è, qua e là, staccata. Dammi del refe e un ago! Ah, qui c'è tutto. NORA. Come sei buona! SIGNORA LINDE (cucendo). Dunque domani sera in maschera. Verrò un istante, per vederti. Guarda! Dimenticavo di ringraziarti per la bella serata di ieri. NORA (alzandosi attraversando la scena). Eppure non era come altre volte in casa nostra. Avresti dovuto venire prima in città. Torvaldo è fatto apposta per rendere piacevole e gaia la casa. SIGNORA LINDE. Tu pure sei la figlia di tuo padre. E dimmi, il dottor Rank è sempre così abbattuto come ieri? NORA. Ieri più del solito. È colpito, poverino, da una terribile malattia al midollo spinale. Il padre era un cosaccio, donnaiolo e peggio. Per questo suo figlio è stato malaticcio sino dall'infanzia, intendi? SIGNORA LINDE (smettendo di lavorare). Ma chi ti dice queste cose? NORA. Eh via! Quando si hanno avuto tre bambini, si ricevono visite di certe signore che sono mezze medichesse e che ci raccontano un sacco di cose... SIGNORA LINDE (rimettendosi a lavorare e dopo una pausa). Il dottor Rank viene tutti i giorni da voi? NORA. Tutti i giorni. È il miglior amico di gioventù di mio marito e anche il mio. È per così dire uno di casa. SIGNORA LINDE. E, dimmi, costui è un uomo sincero? mi spiego: uno che non ama di far dei complimenti? NORA. Al contrario. Donde ti viene questa idea? SIGNORA LINDE. Ieri quando tu me lo presentasti, egli disse che aveva inteso pronunziare spesso il mio nome qui; poi da lì a poco notai che tuo marito lo ignorava. Come va in questo caso, che il dottore abbia potuto... NORA. Hai ragione. Torvaldo m'adora: vuole che io sia tutta per lui, come suol dire. Nei primi tempi, era geloso fin delle persone che una volta mi erano state care e non voleva neppure sentire nominarle. Naturalmente me ne astenni da allora in poi; però ne ho parlato spesso al dottore, che si diverte a starmi sentire. SIGNORA LINDE. Domani dammi retta, Nora. Per certe cose tu sei ancora bambina: io che ho più anni e più esperienza di te, ti darò un consiglio a proposito del dottor Rank: taglia corto a tutto con lui. NORA. Tagliar corto a che? SIGNORA LINDE. A parecchie cose. Ieri mi parlasti di un tuo ricco adoratore che doveva procurarti del denaro. NORA. È vero; ma egli non esiste, sventuratamente. E poi? SIGNORA LINDE. È ricco il dottor Rank? NORA. Discretamente. SIGNORA LINDE. E non ha famiglia? NORA. No, ma... SIGNORA LINDE. E vien qui tutti i giorni? NORA. Te l'ho già detto. SIGNORA LINDE. Come mai un uomo per bene può essere così poco delicato? NORA. Non comprendo. SIGNORA LINDE. Non fingere, Nora. Credi ch'io non abbia indovinato da chi ti sei fatta dare i mille dugento scudi? NORA. Farnetichi. E vuoi supporre?... Da un amico che viene tutti i giorni? Sarebbe una tortura continua! SIGNORA LINDE. Non è proprio lui? NORA. No certamente. Non m'è mai passato per la testa. E poi, a quell'epoca, egli non aveva denaro da prestare. Ha ricevuto l'eredità dopo. SIGNORA LINDE. Meglio per te, cara Nora. NORA. Nè mi verrebbe mai l'idea di chiedere denaro a lui. Del resto ne son sicura che se glielo chiedessi... SIGNORA LINDE. Non glielo chiederai. NORA. No. Non prevedo che potrò aver bisogno di farlo. Però son sicura che se mi rivolgessi a lui... SIGNORA LINDE. All'insaputa di tuo marito? NORA. Devo uscire da quest'impiccio. È stato fatto all'insaputa di lui, e bisogna che così finisca. SIGNORA LINDE. Te lo dicevo ieri. Però... NORA (andando e venendo). Un uomo può sbrogliare questi viluppi meglio di una donna. SIGNORA LINDE. Se intendi tuo marito sta bene. NORA. Sciocchezze! (Si ferma). Quando uno ha pagato, gli si dà la sua ricevuta, è vero? SIGNORA LINDE. Naturalmente NORA. E può farla in mille pezzi e bruciarla quella sporca cartaccia! SIGNORA LINDE (la fissa, lascia di lavorare e si alza). Nora, tu mi nascondi qualche cosa. NORA. Mi si legge in faccia? SIGNORA LINDE. Da ieri mattina in qua è accaduto qualcosa! Dimmelo, Nora! NORA (rivolgendosi verso di lei). Cristina! (Tende l'orecchio). Zitta! Torvaldo rientra. Va nella camera dei bambini. Torvaldo non può veder cucire. Dici ad Anna-Maria che ti aiuti. SIGNORA LINDE. Sì (raccoglie la roba), ma io non andrò via prima che tu non mi abbia confessato tutto schiettamente. (Via dall'uscio a sinistra; nello stesso tempo Helmer entra da quello dell'anticamera). SCENA IV. NORA e HELMER. NORA (andandogli incontro). Con che impazienza ti attendevo, Torvaldo! HELMER. Era la sarta? NORA. No, era Cristina. Mi aiuta a riparare il mio costume. Vedrai che effettone farò! HELMER. Ho avuto una splendida idea. NORA. Magnifica! Anch'io sono tanto buona nel compiacerti. HELMER (carezzandole il mento). Buona? Nel compiacere il marito? Andiamo, andiamo, pazzerella; ho capito: non vuoi essere disturbata. Devi provare il costume, m'immagino. NORA. E tu, tu vai a lavorare? HELMER. Sì. (Mostrando le carte). Vedi? sono stato alla Banca.... (sta per entrare nel suo studio). NORA. Torvaldo! HELMER. Eh? NORA. Se il tuo scoiattolino ti chiedesse con insistenza una cosa… HELMER. Che mai? NORA. La faresti, di'? HELMER. Prima convien sapere che cosa. NORA. E l'allodoletta gorgheggerebbe in tutti i toni. HELMER. L'allodoletta non sa far altro. NORA. Se tu fossi compiacente e docile, il tuo scoiattolino salterebbe dalla gioia e farebbe ogni sorta di follie. HELMER. Su parla. NORA. E ballerei per te meglio degli elfi al lume di luna. HELMER. Nora, spero che non si tratti di quello di cui mi hai parlato questa mattina. NORA (avvicinandosi). Sì, Torvaldo; te ne supplico. HELMER. Ed hai il coraggio di riparlarne? NORA. Sì, sì, devi accordarmelo. Krogstad resterà al suo posto nella Banca. HELMER. Ma, cara Nora, è questo il posto da me destinato alla signora Linde. NORA. Grazie. Ebbene, manderai via un altro commesso invece di Krogstad. HELMER. Ecco un'ostinazione che passa ogni limite. Perchè ieri ti sei lasciata scappar di bocca, irreflessivamente, una promessa pretenderesti che io… NORA. Non per questo, Torvaldo; ma per te. Tu hai detto che colui scrive nei peggiori giornali: potrebbe nuocerti. Ho una grande paura di lui. HELMER. Capisco. Ti tornano a mente certi ricordi e ti atterriscono. NORA. Che intendi dire? HELMER. Tu pensi evidentemente a tuo padre. NORA. Sì. Rammentati quello che scrisse intorno a papà certa gentaccia, e che calunnie gli lanciò addosso! Sarebbe stato destituito, se il Ministero per fortuna non avesse dato a te l'incarico dell'inchiesta e se tu non fossi stato così benevolo verso di lui. HELMER. C'è una grande differenza, Nora mia, fra tuo padre e me. Tuo padre non era funzionario incolpevole, ed io sono tale e spero di restar tale finchè sarò al mio posto. NORA. Oh, non si sa mai quello che possono inventare le cattive lingue! E noi potremmo vivere così tranquilli, così felici nel nostro nidicino, tu, io, i bambini! Ecco perchè insisto. HELMER. Proprio perchè tu mi parli in favore di lui, io non posso recedere dal licenziarlo. La licenza di Krogstad è già nota a tutti alla Banca. Se si venisse a sapere che la moglie del nuovo direttore l'ha fatto cambiar di parere.... NORA. Ebbene? HELMER. A te, lo so, non te ne importerebbe nulla, purchè trionfasse la tua volontà. Credi tu che io voglia rendermi ridicolo agli occhi di tutti gli impiegati? Che io possa far scorgere che mi lascio vincere da influenze estranee all'ufficio? Ne vedresti allora, e subito, le cattive conseguenze. E poi c'è ancora un'altra ragione per cui è impossibile che Krogstad rimanga nella Banca, essendone io il direttore. NORA. Quale? HELMER. Sul suo marcio morale, via potrei chiudere un occhio, essere indulgente... NORA. Ecco! HELMER. Sopratutto perchè mi si dice che è un buon impiegato... Egli però è una mia vecchia conoscenza, una di quelle conoscenze di gioventù fatte alla leggera e che poi, più tardi, spesso, ci mettono in imbarazzo. Insomma, noi ci diamo del tu. E costui ha così poco tatto, che ne fa quasi pompa innanzi agli altri. Si crede in diritto di trattarmi famigliarmente e ad ogni momento esce fuori con dei tu, con degli a te, Helmer, che mi seccano molto. Costui è capace di rendermi intollerabile la mia posizione nella Banca. NORA. Torvaldo, tu non credi neppure una sillaba di quello che dici. HELMER. Sì, perchè dovrei agire diversamente? NORA. Sarebbe una meschinità. HELMER. Che cosa hai detto? Meschinità? Ah, io dunque sono un meschino? NORA. No, al contrario, caro Torvaldo; ed è appunto per questo... HELMER. Se non è zuppa è pan molle.. Sono meschine le mie ragioni, ergo son meschino anch'io. Meschino? Proprio? Ah, finiamola! (Chiama). Elena! NORA. Che vuoi fare? HELMER. Prendo una risoluzione. SCENA V. DETTI e la CAMERIERA. HELMER (alla Cameriera). Ecco una lettera. Cercate subito un fattorino che la porti, subito, subito. C'è l'indirizzo quassù. E questo è il denaro. LA CAMERIERA. Sì, signore. (Esce con la lettera). SCENA VI. NORA ed HELMER. HELMER (ripiegando le sue carte). Eccola servita, signora testarda! NORA (con la voce soffocata). Che lettera è quella? HELMER. Il congedo di Krogstad. NORA. Riprendila, Torvaldo! Sei in tempo! Oh, Torvaldo, riprendila! Fallo per me, per te, per i nostri bambini!... Te ne prego!... Tu non sai quanto male può venircene... HELMER. Troppo tardi. NORA. Ahimè, troppo tardi! HELMER. Senti, Nora: io ti perdono questa angoscia, quantunque, in fondo in fondo, sia un'ingiuria: sì un'ingiuria. Non è forse tale il credere che io possa aver paura d'uno strascina-faccende rovinato? Eppure te la perdono, perchè è segno del grande amore che mi porti. (La prende tra le braccia). Dev'essere così, Norina mia! Avvenga quel che deve avvenire. Nei momenti gravi, vedrai che ho forza e coraggio e che assumo la responsabilità di ogni cosa. NORA (spaventata). Che intendi dire? HELMER. D'ogni cosa, ti ripeto. NORA (con accento risoluto). No! Non sarà mai! HELMER. Faremo a mezzo, come si conviene a marito e moglie; è un dovere. (Accarezzandola). Sei contenta ora? Su, non più cotesti sguardi da colomba atterrita! E per delle fantasticaggini! No! Dovresti piuttosto ballar la tarantella ed esercitarti col cembalo. Io mi chiuderò nel mio studio; così non sentirò nessun rumore; e tu potrai farne quanto vorrai. Quando Rank verrà, gli dirai che sono qui. (Le fa un segno col capo; entra nello studio portando via le carte e chiude l'uscio). SCENA VII. NORA poi il DOTTOR RANK, quindi la CAMERIERA. NORA (mezza morta di angoscia, resta inchiodata al posto dove si trova e dice sottovoce). Sarebbe capace di farlo! Lo farà a dispetto di tutto! Oh, non sia mai! Non sia mai! Qualunque cosa, ma non questo! Soccorso!... Un mezzo! (Suonano). Il dottor Rank! Oh, qualunque cosa, ma non questo! (Si passa le mani sulla fronte, sforzandosi di rimettersi, e va ad aprire la porta d'entrata. Si vede il Dottor Rank che appende la sua pelliccia all'attaccapanni. Durante la scena si fa sera). NORA. Buon giorno, dottore. L'ho riconosciuto al modo di suonare. Non entri da Torvaldo in questo momento: credo che sia occupato. RANK. E lei? NORA (mentre il dottore entra ella richiude l'uscio). Se lei lo sa, ho sempre qualche momento da concederle. RANK. Grazie. Ne profitterò più lungamente che potrò. NORA. Che significa questo: più lungamente che potrò? RANK. È così. Le fo paura? NORA. L'espressione è un po' strana. Che dovrà accadere dunque? RANK. Quello che ho previsto da tanto tempo. Però non credo che sarà subito. NORA (prendendolo pel braccio). Che mai? Che cosa le hanno detto? Parli. RANK (sedendosi presso il caminetto). Sono molto, ma molto giù! Non c'è più nulla da fare. NORA. Si tratta di lei? RANK. Di chi mai? Perchè mentire a me stesso? Io sono il più misero di tutti i miei malati, cara signora. Oggi ho fatto un esame generale del mio stato. Bancarotta! Fra qualche settimana, forse, sarò al camposanto. NORA. Che brutto discorso mi fa! RANK. La cosa è brutta da sè. Il peggio sono gli orrori che debbono precedere la catastrofe. Mi resta un solo esame da praticare. Appena l'avrò fatto, saprò, presso a poco, quando la crisi finale comincierà. Debbo dirle una cosa: Helmer, natura delicata, ha una grande avversione per tutto quello che è brutto. Non voglio che venga al mio capezzale di moribondo. NORA. Oh! Ma, dottore!... RANK, Non voglio: assolutamente. Gli chiuderò l'uscio in faccia. Appena sarò certo della catastrofe, manderò a lei la mia carta da visita segnata con una croce nera, e così saprà che l'abominazione della desolazione è cominciata. NORA. Oggi ha le lune. Ed io che la desideravo di buon umore! RANK. Con la morte sotto gli occhi? E per colpa altrui! È giustizia questa? E in ogni famiglia, d'una maniera o d'un'altra, accade qualcosa di simile. NORA (turandosi gli orecchi). Zitto! siamo allegri! Siamo allegri! RANK. Infatti, c'è da ridere. La mia spina dorsale, povera innocente, deve soffrire per causa della vita allegra menata da mio padre quand'era luogotenente. NORA (a sinistra presso il tavolino). Gli piacevano troppo gli asparagi e i pasticci di fegato grasso! RANK. E i tartufi! NORA. Già, i tartufi: e anche le ostriche. RANK. Le ostriche, s'intende. NORA. Annegate nel Porto e nello sciampagna. Peccato che queste buone cose guastino la spina dorsale! RANK. Soprattutto quando guastano una spina dorsale che non ne ha goduto. NORA. Questo è il peggio. RANK (guardandola attentamente). Hm... NORA (dopo un istante di silenzio). Perchè ha sorriso? RANK. Ha sorriso lei. NORA. No, lei, dottore. RANK. È più ironica che non imaginavo. NORA. Sono in vena di dir delle sciocchezze oggi. RANK. Si vede. NORA (portando le mani su le spalle del dottore). No, caro dottore! Non convien morire, e lasciar Torvaldo e me. RANK. Ve ne consolerete presto. I morti si dimenticano presto. NORA (guardando inquieta). Pensa così? RANK. Si fanno altre conoscenze, si annodano nuove relazioni, e allora... NORA. Chi annoda nuove relazioni? RANK. Lei, Helmer. Farete così quando sarò morto. Lei ha già cominciato, mi pare. Che cosa era venuta a fare qui ieri sera quella signora Linde? NORA. Spero che non sarà geloso di quella povera Cristina. RANK. Sono. Costei prenderà il mio posto in questa casa, quando io me ne sarò andato, costei... NORA. Zitto! Ella è di là. RANK. Anche oggi? Vede! NORA. Per aggiustare il mio costume. Dio mio, com'è strano! (Sedendosi sul sofà). Via, sia ragionevole. Vedrà domani con che grazia ballerò e potrà dire che lo faccio per lei, sì e per Torvaldo, questo va da sè. (cava parecchie cose dalla scatola di cartone). Si segga: ho qualcosa da mostrarle. RANK (sedendosi). Che cosa? NORA. Guardi! RANK. Delle calze di seta. NORA. Color carne. Belline, eh? Ora c'è poca luce, ma domani... No, no, lei deve vedere soltanto le piante dei piedi. Se vedesse più alto... RANK. Hm... NORA. Che aria dubbiosa! Non crede che mi vadano bene? RANK. Per quale ragione non crederlo? NORA (guardandolo un istante). Come è mal educato! (sbattendogli leggermente le calze su le orecchie). Ecco quel che si merita. RANK. C'è altre meraviglie da osservare? NORA. Non vedrà più niente, perchè non è serio. (Cerca fra gli oggetti, canticchiando). RANK (dopo breve silenzio). Quando sto qui con lei, così familiarmente, io non so comprendere... No, non so comprendere che cosa sarei divenuto, se non fossi mai venuto in questa casa. NORA. In fin dei conti, mi pare che non le dispiaccia trovarsi qui, con noi! RANK (abbassando la voce e guardando fissamente davanti a sè). E dovervi lasciare! NORA. Sciocchezze! Non ci lascerà! RANK (c. s.). E non poter lasciare nessun segno di riconoscenza durevole! Appena, appena un dispiacere passeggero, e un posto che il primo arrivato occuperà. NORA. E se io le chiedessi?... No, no! RANK. Se mi chiedeste che cosa? NORA. Una grande prova della sua affezione. RANK. Sì. Ebbene NORA. Intendo dire un gran servizio. RANK. Mi darebbe almeno una volta, questo straordinario piacere? NORA. Sì: ma lei non sa neppure di che si tratti. RANK. Dica, dica. NORA. Non posso, dottore. È una cosa così enorme! Un consiglio e insieme un soccorso, un servigio. RANK. Tanto meglio. Io non comprendo che cosa possa essere. Parli. Non ha confidenza in me? NORA. Più che in ogni altro. È il migliore e il più fedele mio amico, lo sa. E per ciò le dirò ogni cosa. Ebbene, dottore, bisogna stornare una disgrazia da cui son minacciata. Lei sa quanto Torvaldo mi voglia bene: non esiterebbe un istante a dar la vita per me. RANK (accostandosi verso di lei). Nora!... Egli solo? NORA (con una mossettina). Che intende? RANK. Egli solo darebbe la vita per lei? NORA (tristamente). Dice davvero? RANK. Ho giurato che lei l'avrebbe saputo prima che io muoia! Non potevo trovare una occasione più opportuna. Ora lo sa. Ora può confidarsi con me come con nessun altro. NORA (alzandosi con semplicità e tranquillità). Mi lasci passare. RANK (lasciandola passare e restando seduto). Nora! NORA (dall'uscio di fondo). Elena, porta il lume. (Dirigendosi verso il caminetto). Caro dottore, ha fatto assai male. RANK. Ho fatto male, amandovi quanto più intensamente è possibile? NORA. No, ha fatto male a dirmelo. Era superfluo. RANK. Che? Lo sapeva? (La cameriera porta il lume, lo posa sul tavolino e va via). RANK. Nora... signora Helmer, prego, dica, lo sapeva? NORA. Che ne so? Non posso dirglielo… È stato uno sbaglio da parte sua. Tutto andava così bene! RANK. Ora ha la certezza che io sono a sua disposizione, corpo ed anima. Parli, dunque. NORA (fissandolo). Dopo quello che ha detto? RANK. La prego: mi dica di che si tratta. NORA. È finita. Non lo saprà mai. RANK. Sì, sì. Non mi punisca così. Permetta che io l'aiuti quanto umanamente è possibile. NORA. È inutile: non può far nulla per me. E poi, non ho bisogno di nessuno. Era una bizzarria, nient'altro; se ne persuada. Intende? (Siede su la seggiola a dondolo e lo guarda sorridendo). Bravo! È molto gentile lei, dottore Rank. E non si sente arrossire ora che c'è il lume? RANK. Per dire il vero, no. Ma, forse debbo andarmene.... e per sempre? NORA. Niente affatto. Verrà come pel passato. Torvaldo, lei lo sa bene, non può stare senza vederla. RANK. Sì, ma lei? NORA. Io? Tutto mi diverte quando lei è qui. RANK. Questo mi ha indotto in errore. Lei è proprio un enimma! Spesso mi è parso che lei stava con me con altrettanto piacere che con Helmer. NORA. Vede? C'è delle persone che si vogliono bene, e ce n'è delle altre che fanno piacere avvicinandole. RANK. Non dice male. NORA. A casa mia, amavo mio padre più di tutti. Il mio gran divertimento però era scendere di nascosto nella stanza delle serve. Esse non mi facevano mai delle prediche, e mi raccontavano mille storielle. RANK. Brava! Ed io ho sostituito le serve. NORA (alzandosi e andando verso di lui). Oh, no, caro dottore, non intendo dir questo. Intendo dire che mi accade con Torvaldo come con papà. SCENA VIII. La CAMERIERA e DETTI. LA CAMERIERA (venendo dall'anticamera). Signora! (le parla all'orecchio e le dà una carta). NORA (guardando la carta). Ah! (la ripone in tasca). RANK. Qualche cosa di spiacevole? NORA. No: riguarda... il mio nuovo costume. RANK. Come? Il suo costume non è di là? NORA. Sì, uno: e ce n'è un altro. L'ho ordinato io. Torvaldo non deve saperlo. RANK. Ah! ecco dunque il gran segreto! NORA. Precisamente! Vada da Torvaldo: è nella stanza in fondo. E gl'impedisca di venire qui. RANK. Stia tranquilla. Non verrà. (Entra nello studio di Helmer). NORA (alla cameriera). Egli attende in cucina? LA CAMERIERA. È salito dalla scala di servizio. NORA. Gli hai detto che avevo gente? LA CAMERIERA. Gliel'ho detto, ma è stato inutile. NORA. Non ha voluto andarsene? LA CAMERIERA. E dice che non andrà via, se prima non parla con lei. NORA. Fallo entrare, ma senza far rumore. E non dire niente a nessuno. È una sorpresa per mio marito. LA CAMERIERA. Ho capito. (Esce). NORA. Ci siamo! Eccolo! No, no, non può essere! Non deve accadere!... (La cameriera fa entrare Krogstad e chiude l'uscio. Egli è in pelliccia da viaggio, stivaloni e berretto di pelo). SCENA IX. NORA e KROGSTAD. NORA (avanzandosi verso di lui). Parlate sottovoce: mio marito è là. KROGSTAD. Può darsi. NORA. Che vuole? KROGSTAD. Uno schiarimento. NORA. Si affretti. Che cosa è? KROGSTAD. Lei sa che ho ricevuto il mio congedo. NORA. Non mi è stato possibile impedirlo, signor Krogstad. Ho perorato in suo favore fino all'ultimo: non sono riuscita. KROGSTAD. Suo marito l'ama dunque così poco? Sa quello che può avvenire e malgrado questo, egli osa.... NORA. E lei può credere che egli sappia? KROGSTAD. Infatti non l'ho mai creduto! Tanto coraggio non sarebbe da lui, povero Helmer. NORA. Signor Krogstad, rispetti mio marito. KROGSTAD, Certamente, quanto merita. Giacchè lei mette tanta cura per tener nascosto quest'affare, oso supporre ch'ella sia informata assai meglio di ieri della gravità del suo operato. NORA. Meglio di quanto me ne informasse lei. KROGSTAD. Un meschino strascina-faccende mio pari! NORA. Che vuole dunque? KROGSTAD. Niente. Venivo soltanto per informarmi come sta, signora. Ho pensato a lei tutta la giornata. Si può essere un cassiere, un avvocatuccio, un... insomma, un individuo come me, e aver non pertanto un po' di cuore. NORA. Me lo provi. Pensi ai miei bambini! KROGSTAD. Suo marito si è dato pensiero dei miei? Ma non importa. Volevo dirle: via, non prenda la cosa in tragico. Primieramente, io non sporgerò querela contro di lei. NORA. No? N'ero sicura. KROGSTAD. Potremo terminar l'affare all'amichevole, Non è necessario ch'altri ne sia informato; la cosa può restare fra noi. NORA. Mio marito non dovrà mai sapere niente! KROGSTAD. Come sarà possibile? Si trova lei nel caso di saldare? NORA. No, in questo momento. KROGSTAD. Ha forse trovato il mezzo di procurarsi il denaro fra giorni? NORA. Non l'ho cercato. KROGSTAD. Tanto, non le servirebbe a nulla. Potrebbe offrirmi qualunque somma, io non le renderò la sua ricevuta. NORA. Mi spieghi allora che cosa vuol farne. KROGSTAD. Tenerla in mia mano. Nessuno ne saprà mai niente. Così se per caso lei stesse per prendere una decisione disperata... NORA. Ci ho pensato. KROGSTAD. ....Abbandonar tutti, fuggire... NORA. Ci ho pensato. KROGSTAD. ....o far qualcosa di peggio. NORA. Come lo sa? KROGSTAD. ....Metta da parte queste cattive idee. NORA. Ma come sa che io le ho avute? KROGSTAD. Le abbiamo tutti, da prima. Le ho avute anch'io, come gli altri. Mi è mancato il coraggio, lo confesso. NORA (con voce sorda). Anche a me! KROGSTD (sospirando). Ah! anche a lei! NORA. Sì. KROGSTAD. E sarebbe stata proprio una grande corbelleria. Passata la prima tempesta coniugale... Qui, in questa tasca ho una lettera per suo marito. NORA. Che cosa gli scrive? KROGSTAD. Con le espressioni più attenuanti che mi è stato possibile trovare... NORA. No, mio marito non dovrà avere codesta lettera. La strappi. Avrò del denaro.... KROGSTAD. Scusi, signora: mi pare di averle detto poco fa... NORA. Non quello che vi devo. E che somma chiedete a mio marito? Ve la darò. KROGSTAD. Non gli chiedo denaro. NORA. O dunque? KROGSTAD. Mi spiego meglio. Io voglio andare avanti, signora, voglio salire, e suo marito dovrà aiutarmi. Da un anno e mezzo mi son condotto da onest'uomo, dibattendomi fra le più misere difficoltà. Ero lieto di rialzarmi a grado a grado. Ora, cacciato via, non basta che mi facciano la grazia di riprendermi. Voglio salire alto, le dico. Voglio rientrare nella Banca, e con condizioni migliori. Suo marito deve creare un posto per me. NORA. Non lo farà mai! KROGSTAD. Lo farà. Lo conosco bene. Non oserà rifiutare. Avuto quel posto, lei vedrà. Prima di un anno sarò la mano diretta del direttore; anzi il direttore della Banca sarà Nil Krogstad non Torvaldo Helmer. NORA. Questo non avverrà mai! KROGSTAD. Non le parrebbe vero!... NORA. Ed ora ne ho il coraggio. KROGSTAD. Oh! non mi faccia paura. Una signora così buona, così gentile. NORA. Vedrà! vedrà! KROGSTAD. Sotto il ghiaccio, forse? Nell'abisso umido e freddo? E a primavera poi, ricomparire alla superficie dell'acqua, sfigurata, irriconoscibile, senza capelli... NORA. Non mi atterrisce. KROGSTAD. E neppure lei. Sono cose che non si fanno, signora Helmer. A quale scopo poi? Quella carta è sempre qui, in tasca. NORA. Sarò morta. KROGSTAD. Dimentica che in questo caso avrò in mano l'onor suo, la sua reputazione... NORA (lo guarda interdetta). KROGSTAD. È prevenuta. Non faccia sciocchezze! Dopo che Helmer avrà ricevuto la mia lettera, attenderò il suo messaggio. E tenga in mente che suo marito mi ha costretto a far questo. Non glielo perdonerò mai. Addio, signora. (Esce). SCENA X. NORA e SIGNORA LINDE. NORA (aprendo a spiraglio la porta del vestibolo e tendendo 1'orecchio). È andato via. Non manderà quella lettera! È impossibile! (apre un po' più la porta). Che fa? Si è fermato. Riflette. La consegnerà... (Si sente cader la lettera nella cassetta, poi si sente il rumore dei passi di Krogstad che diminuisce di mano in mano ch'egli scende la scala). NORA (reprime un grido e discende correndo fin al tavolino presso il sofà. Un momento di silenzio). È già nella cassetta! (Ritorna a passi leggieri fino alla porta dell'anticamera). È là! Torvaldo, Torvaldo, mio Dio! Siamo perduti! SIGNORA LINDE (entra dall'uscio a sinistra, portando il costume). Ho riparato alla meglio. Vuoi provartelo? NORA (con voce soffocata). Cristina, vieni qui! SIGNORA LINDE (gettando il costume sul sofà). Che cos'hai? Sei così sconvolta!... NORA. Vieni, qui. Vedi quella lettera, lì, a traverso la spacca della cassetta? SIGNORA LINDE. La vedo. NORA. È di Krogstad. SIGNORA LINDE. Nora!... Quel denaro te l'ha prestato lui? NORA. Sì. Ed ora Torvaldo lo saprà. Saprà ogni cosa! SIGNORA LINDE. Credimi, Nora; sarà meglio per tutti e due. NORA. Tu ignori... Ho falsificato una firma!... SIGNORA LINDE. Dio mio! Che dici mai? NORA. Ascoltami bene, Cristina: ascolta quello che sto per dirti; così potrai testimoniare... SIGNORA LINDE. Testimoniare? Oh Dio! NORA. Se io impazzissi... e non è improbabile... SIGNORA LINDE. Nora! NORA. Se mi accadesse qualch'altra cosa ed io non fossi più qua per… SIGNORA LINDE. Nora! Nora! Tu vaneggi! NORA. Se qualch'altro, intendi bene? qualche altro volesse allora addossarsi tutta la colpa… SIGNORA LINDE. Ma come puoi credere?... NORA. Cristina, sii testimone che dirà una falsità. Io non vaneggio; ho piena intelligenza di quel che dico, e perciò ti ripeto: – Nessuno ne seppe nulla, agii da me, da me sola! Rammentatene! SIGNORA LINDE. Sì, me ne rammenterò. Intanto io ancora non capisco... NORA. E come potresti capirlo? Sta per accadere un prodigio! SIGNORA LINDE. Un prodigio! NORA. Sì, un terribile prodigio! E non deve accadere, a qualunque costo, Cristina! SIGNORA LINDE. Vo subito da Krogstad, gli dirò... NORA. Non andare: ti riceverebbe molto male... SIGNORA LINDE. C'è stato un tempo in cui egli avrebbe fatto qualunque cosa per piacermi. NORA. Lui? SIGNORA LINDE. Dove abita? NORA. Che ne so? Ah, sì! (Cerca in tasca). Ecco il suo biglietto da visita. Ma la lettera, la lettera! SCENA XI. DETTE ed HELMER. HELMER (dallo studio, picchiando all'uscio). Nora! NORA (con un grido di angoscia). Che c'è? Che cosa vuoi? HELMER. Andiamo! Andiamo! Non aver paura. Hai messo il paletto e non possiamo entrare. Provi il costume forse? NORA. Sì, sì, lo sto provando. Sarò così carina, Torvaldo. SIGNORA LINDE (dopo aver letto l'indirizzo). Abita qui vicino, alla cantonata. NORA. E che me n'importa più? Siamo perduti. La lettera è nella cassetta! SIGNORA LINDE. La chiave... NORA. L'ha sempre lui, mio marito! SIGNORA LINDE. Krogstad può venire a riprendere la lettera prima che sia letta; può trovare un pretesto qualunque... NORA. Ma è giusto l'ora in cui Torvaldo è solito... SIGNORA LINDE. Tienilo a bada, va, di là, va, da lui. Io tornerò subito, appena potrò... (esce frettolosamente dalla porta del vestibolo). NORA (aprendo l'uscio dello studio e guardando dentro). Torvaldo! SCENA XII. DETTA ed HELMER, poi il DOTTOR RANK. HELMER (dallo studio). Finalmente è permesso entrare in casa propria! Vieni, Rank, vedremo... (Entrano). Ebbene... che significa? NORA. Che cosa, caro Torvaldo? HELMER. Rank m'aveva preparato a una prima rappresentazione in costume... RANK. Io avevo capito così; pare che mi sia ingannato... NORA. Certamente. Nessuno, prima di domani, dovrà vedermi in tutto il mio splendore. HELMER. Nora mia, che aria stanca! Hai provata la tarantella? NORA. Neppure una volta. HELMER. Convien provarla, però. NORA. È indispensabile, lo so; e senza te non so fare un passo: ho dimenticato ogni cosa. HELMER. Riprenderemo le prove. NORA. Bravo! Alfine, un pochino ti occuperai di me! Me lo prometti? Sono così in pensiero! Questa società dove dobbiamo andare... Via, per questa sera, dunque, non più affari, nè carte da leggere, nè nulla; me lo prometti? HELMER. Te lo prometto. Per questa sera tutto ai tuoi ordini, signora impicciata! Ah! Prima però lasciami vedere. (Si dirige alla porta del vestibolo). NORA. Che cosa? HELMER. Se mai vi è qualche lettera nella cassetta. NORA. No, Torvaldo, lascia andare. HELMER. Perchè? |NORA. Te ne prego, Torvaldo!... Non c'è n'è. HELMER. Lasciami almeno vedere. (Fa qualche passo verso la porta). NORA (al pianoforte, suona le prime battute della tarantella). HELMER. Ah! NORA. Se non faccio una prova con te, non potrò ballare domani. HELMER (tornando verso di lei). Hai tanta paura, poverina? NORA. Una paura incredibile. Proviamo subito. Al desinare c'è ancora tempo. Siedi, suona, caro Torvaldo. E correggimi, dammi dei consigli al tuo solito. HELMER. Volentieri, volentieri, poichè lo desideri. (Siede al pianoforte). NORA (apre una scatola, ne cava un cembalo, uno scialle a striscio di diversi colori, che si mette subito addosso; poi d'un salto, si pianta in mezzo alla stanza). Andiamo, suona. Voglio ballare. (Helmer suona. Nora balla la tarantella. Rank, dietro di Helmer, la segue con gli occhi). HELMER (suonando). Meno foga, meno foga! NORA. È impossibile. HELMER. Meno foga, Nora. NORA. No, ci vuole. HELMER. Al contrario, non ci vuole. Si va maluccio. NORA (ridendo e agitando il cembalo). Te lo dicevo! RANK. Permetti che suoni io. HELMER (alzandosi). Benissimo: così potrò dirigerla meglio. (Rank suona. Nora balla sempre più vertiginosamente. Helmer, presso il caminetto, le rivolge di tratto in tratto qualche osservazione ch'essa sembra non udire. I suoi capelli si snodano e le cascano su per le spalle. Ella non se ne accorge e continua. Entra la signora Linde). SCENA XIII. DETTI e la SIGNORA LINDE. SIGNORA LINDE (fermandosi interdetta). Oh!... NORA. Tu arrivi in un momento di follìa, Cristina. SIGNORA LINDE. Balli come se si trattasse di vita o di morte. NORA. È proprio il caso. HELMER. Smetti Rank. È un vero furore. Smetti, ti dico. (Il pianoforte tace e Nora s'arresta a un tratto). HELMER (a Nora). Non lo avrei mai creduto: hai dimenticato ogni passo.... NORA (gettando il cembalo). Ti sei persuaso? HELMER. Ci vogliono molte e molte prove. NORA. Vedi? Tu mi insegnerai: promettimelo, Torvaldo. HELMER. Sta sicura. NORA. E oggi e domani non devi pensare ad altro, nè aprir lettere e nemmeno la cassetta delle lettere. HELMER. Capisco. Hai paura di colui... NORA. Sì, non te lo nego: ho paura di colui... HELMER. Te lo leggo in viso: c'è là una lettera di quell'uomo. NORA. Non lo so; può darsi: tu però non leggerai nulla. Fra te e me non ci deve essere neppure un'ombra fino a ballo finito. RANK (sottovoce a Helmer). Non contrariarla. HELMER (abbracciandola per la vita). Sia, bambina. Si farà come tu vuoi. Però domani, terminato il ballo... NORA. Sarai libero. SCENA XIV. DETTI e la CAMERIERA. LA CAMERIERA (dall'uscio a dritta). La signora è servita. NORA. Porta dello sciampagna, Elena. LA CAMERIERA. Sì, signora. (Esce). SCENA XV. HELMER, NORA, SIGNORA LINDE e DOTTOR RANK. HELMER. Eh! Eh! Faremo un'orgia, a quel che pare! NORA. Orgia e festa fino a domani. (Gridando a Elena). E un po' di confetti, Elena; anzi molti; una volta non è vizio. HELMER (prendendole le mani). Sì, sì, andiamo! Non sta bene essere atterrita a questo modo. Voglio che tu ritorni la mia lodoletta gorgheggiante... NORA. Sì, Torvaldo, sì. Intanto entra là; e lei anche, dottore. Tu, Cristina, mi aiuterai a ravviarmi i capelli. RANK (sottovoce a Helmer, avviandosi verso la sala da pranzo). Di' un po', non ti sembra... che ci sia qualche cosa di strano?... HELMER. Niente, caro amico. Nient'altro che quella puerile paura di cui ti ho parlato. (Escono dalla destra). SCENA XVI. NORA, la SIGNORA LINDE e HELMER. NORA. Dunque? SIGNORA LINDE. È in campagna. NORA. Lo avevo capito, vedendoti. SIGNORA LINDE. Tornerà domani sera. Gli ho lasciato un biglietto. NORA. Hai fatto male. Non conviene impedir nulla. È una gran sensazione attendere una catastrofe. SIGNORA LINDE. Quale catastrofe? NORA. Oh! non puoi capire. Va: ti seguirò subito. (La signora Linde esce. Nora rimane immobile un istante come per raccogliersi, poi guarda il suo orologio). Da qui a mezzanotte, sette ore. Ventiquattro fino alla prossima mezzanotte. Allora avrò ballata la tarantella. Ventiquattro e sette? Ho trentun'ora di vita! HELMER (dall'uscio a destra). Ma che fa la mia lodolina? NORA (slanciandoglisi tra le braccia). Eccomi! FINE DELL'ATTO SECONDO. ATTO TERZO La stessa scena. Mobili, tavolini, sedie, e sofà sono stati trasportati nel centro della stanza. La porta dell'anticamera è aperta. Si sente la musica da ballo del piano di sopra. SCENA PRIMA. SIGNORA LINDE indi KROGSTAD. (La Signora Linde, seduta vicino a un tavolino, sfoglia distrattamente un libro. Tenta di leggere, ma sembra che non possa fissare la sua attenzione. Di tanto in tanto dà una occhiata verso l'uscio, e ascolta attentamente. Guarda il suo orologio). SIGNORA LINDE. Non viene! E dovrebbe esser qui da un pezzo. Purchè egli... (Ascolta di nuovo). Ah, è lui! (Va nell'anticamera, apre con cautela la porta esterna; si sente qualcuno che sale con precauzione la scala). Entri, son sola. KROGSTAD (sulla soglia). Ho ricevuto un suo biglietto. Che significa? SIGNORA LINDE. È assolutamente necessario che io parli con lei. KROGSTAD. Davvero? Ed è necessario che il colloquio abbia luogo qui? SIGNORA LINDE. Non potevo riceverla a casa mia. Non ho l'entrata libera. Venga; saremo soli. Gli Helmer sono al ballo dei pigionali del secondo piano.... KROGSTAD. To! To! Gli Helmer ballano questa sera? Proprio? SIGNORA LINDE. Che c'è da meravigliarsi? KROGSTAD. Niente. SIGNORA LINDE. Sì, Krogstad; dobbiamo parlarci. KROGSTAD. Noi due? Che altro abbiamo da dirci? SIGNORA LINDE. Molto. KROGSTAD. Non l'avrei mai creduto. SIGNORA LINDE. Perchè non mi avete mai compresa. KROGSTAD. Eppure non è difficile. Son cose che accadono tutti i giorni: una donna senza cuore abbandona un uomo, se le si presenta un partito più vantaggioso. SIGNORA LINDE. Mi crede dunque proprio senza cuore? Crede che io non abbia sofferto di questa rottura? KROGSTAD. In verità.... SIGNORA LINDE. L'ha proprio creduto, Krogstad? KROGSTAD. Se non fosse stato così, mi avrebbe scritto in quel modo? SIGNORA LINDE. Non potevo agire diversamente. Volendo romperla, dovevo strapparle dal cuore l'affetto che sentiva per me. KROGSTAD (strofinandosi le mani). Ah! per questo! Affar di quattrini e nient'altro! SIGNORA LINDE. Non deve dimenticare che allora avevo la mamma e due fratellini da mantenere. Non potevamo attendere. Lei aveva appena delle speranze e lontane. KROGSTAD. Ammettiamolo. Pure lei non aveva il diritto di abbandonarmi per un altro. SIGNORA LINDE. Non lo so: me lo son domandato sovente. KROGSTAD (abbassando la voce). Perdendola, mi sentii mancare il terreno sotto i piedi. Guardi: sono un naufrago aggrappato a una tavola. SIGNORA LINDE. La salvezza non è forse lontana. KROGSTAD. La salvezza era qua e lei è venuta a togliermela. SIGNORA LINDE. A mia insaputa, Krogstad. Oggi soltanto ho appreso che mi si dava il vostro posto alla Banca. KROGSTAD. Lo credo, perchè lo dice. Ed ora che lo sa non rinunzia? SIGNORA LINDE. No, non le gioverebbe. KROGSTAD. Ah! Io, vede, rinunzierei. SIGNORA LINDE. Ho appreso ad operare ragionevolmente. Le amare circostanze della vita mi son servite di lezione. KROGSTAD. A me la vita ha insegnato di non fidarmi nella parola d'altri. SIGNORA LINDE. Saggia lezione. Però non si fiderebbe degli atti? KROGSTAD. Che intende? SIGNORA LINDE. Ha detto: sono un naufrago aggrappato a una tavola. KROGSTAD. Ho le mie buone ragioni per parlare così. SIGNORA LINDE. Anch'io sono una naufraga aggrappata a una tavola. Non ho nessuno a cui dedicarmi, non c'è più nessuno che abbia bisogno di me. KROGSTAD. Lei l'ha voluto. SIGNORA LINDE. Non avendo da scegliere. KROGSTAD. Che intende conchiudere? SIGNORA LINDE. Se i due naufraghi si stendessero le mani? Che ne dice, Krogstad? KROGSTAD. Possibile? SIGNORA LINDE. Non sarà meglio aggrapparsi insieme alla stessa tavola? KROGSTAD. Cristina! SIGNORA LINDE. Quale crede che sia la ragione per cui son qui venuta? KROGSTAD. Avrebbe mai pensato a me? SIGNORA LINDE. Ho bisogno di lavorare per sopportare la vita. Tornando indietro con i ricordi, io veggo soltanto anni, mesi, giorni di continuo lavoro. Non ho avuto altra consolazione. Ed ora, eccomi sola al mondo. Provo un gran senso di abbandono e di vuoto. Dover pensare soltanto a sè, toglie ogni incanto al lavoro. Su Krogstad, mi trovi per chi e perchè lavorare. KROGSTAD. Non lo credo. Si tratta di orgoglio femminile che si esalta e vuol sacrificarsi. SIGNORA LINDE. Mi ha mai saputa capace di esaltarmi? KROGSTAD. E farebbe davvero quel che dice? Conosce lei il mio passato? SIGNORA LINDE. Sì. KROGSTAD. La mia riputazione? Quello che si dice di me? SIGNORA LINDE. Se ho ben compreso poco fa, lei pensa che io avrei potuto salvarla. KROGSTAD. Ne son certo. SIGNORA LINDE. E non si può ricominciare? KROGSTAD. Cristina!... Ha ben riflettuto su quello che dice? Sì, glielo leggo in faccia. E così lei avrebbe il coraggio?.... SIGNORA LINDE. Ho bisogno d'una persona a cui far da mamma, e i suoi bambini hanno bisogno di una mamma. Noi, anche noi, siamo spinti l'uno verso l'altro. Io ho fede nel buon fondo del vostro cuore, Krogstad. Con voi non avrò paura di niente. KROGSTAD (prendendola per le mani). Grazie, Cristina! Grazie! Ora si tratta di redimermi agli occhi del mondo! E mi redimerò. Ah!... mi dimenticavo... SIGNORA LINDE (ascoltando). Zitto! La tarantella! Vada via, vada via subito. KROGSTAD. Perchè? SIGNORA LINDE. Sente questa musica? Finito il ballo, essi rientrano. KROGSTAD. Me ne vado. Non fa nulla. Lei non sa, m'immagino, il mio tentativo contro Helmer. SIGNORA LINDE. S'inganna: lo conosco. KROGSTAD. E malgrado questo ha il coraggio di...? SIGNORA LINDE. So bene a che estremi la disperazione può spingere un uomo come voi. KROGSTAD. Ah! Se potessi guastare la mia opera! SIGNORA LINDE. È sempre in tempo. La sua lettera è ancora nella cassetta. KROGSTAD. N'è certa? SIGNORA LINDE. Certissima... Però. KROGSTAD (squadrandola). È il moto dell'enimma? Lei vuol salvare ad ogni costo la sua amica. Me lo dica francamente, è così? SIGNORA LINDE. Senta, Krogstad: quando una persona si è venduta una volta per salvare qualcuno, non ritenta più! KROGSTAD. Chiederò la mia lettera. SIGNORA LINDE. No. KROGSTAD. Sì: va da sè. Attendo che Helmer ritorni e gli dico che voglio riavere la mia lettera, che essa tratta del mio congedo, e che è inutile leggerla. SIGNORA LINDE. No, Krogstad, non richiederà quella lettera. KROGSTAD. Eppure... Non m'ha fatto venir qui per questo? Lo confessi. SIGNORA LINDE. Nel primo momento di paura, sì. Ma sono già trascorse ventiquattro ore; e durante questo tempo ho visto accadere qui cose incredibili. Helmer deve sapere ogni cosa, convien svelare questo fatale mistero. Non più pettegolezzi, non più sotterfugi. KROGSTAD. Se lei ne assume la responsabilità va bene. Per ogni evento, io posso fare una cosa e subito... SIGNORA LINDE (stando in ascolto). Presto, vada via. Il ballo è terminato. Non s'è più sicuri di non essere sorpresi. KROGSTAD. L'attendo giù. SIGNORA LINDE. Mi accompagnerà fino al portone di casa. KROGSTAD. Non sono mai stato così felice. (Egli esce dalla porta d'entrata. L'uscio dell'anticamera resta aperto sino alla fine). SCENA II DETTA, HELMER e NORA. SIGNORA LINDE (ravvia un po' la stanza e mette in ordine il suo mantello e il suo cappellino). Quale avvenire! Che prospettiva novella! Qualcuno per cui lavorare, per cui vivere! E una casa, un nido da curare! Ah! come mi ci metterò!. (Ascoltando). Eccoli qui! Presto il mantello. (Ella prende mantello e cappellino. Si sentono le voci di Helmer e di Nora. Gira una chiave e Helmer fa entrare Nora quasi per forza. Ella è in costume napoletano, avviluppata in una specie di sciallone. Helmer in abito nero di società, con domino nero sulle spalle). NORA (su la soglia esitando). No, no, no, non voglio rientrare. Voglio tornar su. Non voglio ritirarmi così presto. HELMER. Andiamo! Norina! NORA. Te ne prego, Torvaldo! Te ne supplico!... Un'altra ora, Torvaldo! HELMER. Neppure un minuto. Nora mia! Tu sai i nostri patti, su, entra; costì prendi freddo. (La fa entrare, malgrado la resistenza di lei). SIGNORA LINDE. Buona sera. NORA. Cristina! HELMER. Che? La signora Linde, qui e così tardi? SIGNORA LINDE. Vogliate scusarmi. Avevo un così grande desiderio di veder Nora in costume... NORA. Ed hai atteso tante ore? SIGNORA LINDE. Sventuratamente arrivai troppo tardi. Eri già salita al secondo piano, e non ho voluto andar via prima d'averti vista. HELMER (levando a Nora lo scialle). La guardi dunque. Credo che metta conto. È bellina, è vero, signora Linde? SIGNORA LINDE. Proprio! HELMER. Una maraviglia, eh? Lassù erano tutti dello stesso parere. Ma che testarda! Pare impossibile! Ho quasi dovuto impiegar la forza per portarla via. Lo crede? NORA. Ah, Torvaldo, come ti pentirai di non avermi concesso almeno un'altra mezz'ora! HELMER. La sente, signora Linde? Balla la sua tarantella, ha un successone, meritatissimo quantunque si sia lasciata andare nel ballo più che non comportavano le strette esigenze dell'arte. Un successo enorme: era l'importante. Restando più a lungo colà, avrebbe diminuito l'effetto. Potevo permetterlo? Niente affatto! Ho preso pel braccio la mia bella ragazzina di Capri, la mia capricciosa ragazzina, potrei dire, un giro lesto per la sala, saluti a dritta e a manca, e poi, come si canta nelle romanze, la bell'ombra è svanita! Occorre un po' d'artifizio negli scioglimenti, signora Linde: ma Nora non l'ha mai potuto intendere. Auff! Che caldo qui dentro! (Butta il domino sopra una sedia e apre la porta della sua camera). NORA. (sottovoce precipitosamente). Ebbene? SIGNORA LINDE. Gli ho parlato. NORA. Dunque? SIGNORA LINDE. Nora... convien dire ogni cosa a tuo marito. NORA. (con voce morente). Lo sapevo! SIGNORA LINDE. Da parte di Krogstad, non ha niente da temere. Bisogna però che tu parli. NORA. Non parlerò. SIGNORA LINDE. Allora parlerà la lettera per te. NORA. Grazie Cristina. Ora so quello che mi rimane da fare. Zitta! HELMER. L'ha dunque ammirata abbastanza, signora? SIGNORA LINDE. Sì, ed ora, buona notte. HELMER. Di già? Questo lavorino è suo? SIGNORA LINDE (prendendo il lavoro a maglia che Helmer porge). Grazie lo dimenticavo. HELMER. Lavora a maglia lei? SIGNORA LINDE. Sì. HELMER. Invece dovrebbe ricamare. SIGNORA LINDE. Perchè mai? HELMER. È un lavoro più gentile. Guardi, si tiene il ricamo con la sinistra, così, e con la destra si fa andar l'ago, così; e si forma una bella curva lunga e leggiera; è vero? SIGNORA LINDE. Può darsi. HELMER. Lavorare a maglia è una cosa brutta. Le braccia incollate al capo; gli aghi che vanno d'alto in basso, di basso in alto... qualcosa di chinese... che so io... Che buon sciampagna ci hanno dato lassù! SIGNORA LINDE. Buona notte, Nora; e non sii più testarda! HELMER. Ben detto, signora Linde! SIGNORA LINDE. Buona notte, dottore. HELMER (accompagnandola fino all'uscio). Buona notte, buona notte! Sapete la via spero. Io vorrei quasi... ma abitate qui a due passi. Buona notte! Buona notte! (La signora Linde esce – Helmer chiude la porta e torna presso Nora). SCENA III. HELMER e NORA. HELMER. Oh bravo! È andata via finalmente! È un po' noiosina codesta signora! NORA. Sei molto stanco, Torvaldo? HELMER. Niente affatto NORA. Non hai neppur sonno? HELMER. Anzi, sono sveglissimo. E tu? Tu sì, mi sembri stanca e piena di sonno. NORA. Molto stanca. Sento che mi addormenterei subito. HELMER. Vedi, se avevo ragione di non restare più a lungo lassù? NORA. Tu hai sempre ragione in tutto quello che fai. HELMER (baciandola in fronte). Ecco: l'allodoletta comincia a parlare come uomo. Di', ti sei accorta com'era allegro Rank questa sera? NORA. Sì. Non ho avuto occasione di parlargli. HELMER. Gli ho parlato poco anch'io. Era un buon pezzo che non lo vedevo di così gran buonumore. (La guarda un momento e poi le si avvicina). Ah, com'è dolce esser qui, in casa, con te sola! Che bella, che inebbriante donnina tu sei! NORA. Non guardarmi così, Torvaldo! HELMER. Non guarderò più il mio tesoro più caro? Questo splendore che è mio, mio soltanto, tutto mio? NORA (passando all'altro lato del tavolino). Non conviene parlar così questa sera. HELMER (andandole dietro). A quel che vedo ti sobbolle la tarantella nel sangue. E la tua seduzione si accresce. Senti? Gl'invitati vanno via. (Più basso). Nora, fra qualche istante tutto tacerà nella casa. NORA. Lo spero bene. HELMER. È vero. Norina mia? Oh! Quando siamo in una società come questa sera... sai tu perchè ti rivolgo poco la parola, perchè me ne sto lontano da te, contentandomi di guardarti quasi di furto? Lo sai? Amo immaginarmi che tu sei il mio amore segreto, la mia giovane e misteriosa fidanzata, e che tutti ignorino il legame che ci unisce. NORA. Sì, sì, sì, lo so che tutti i tuoi pensieri sono rivolti a me. HELMER. E nell'andar via, quando poso lo scialle sulle tue delicate e fresche spalle, e vedo quella nuca meravigliosa, mi figuro che tu sei la mia sposa recente, che torniamo allora dalla chiesa, che è la prima volta che ti conduco a casa mia, e che finalmente stiamo per restar soli... solo con la mia bella e trepidante sposina!.... In tutta la serata non ho fatto altro che desiderarti... Quando ti vedevo ballare la tarantella, e provocare, incitare, il sangue mi avvampava: non ne potevo più. Per questo ti ho condotto via presto. NORA. Va, Torvaldo. Lasciami... Non voglio... HELMER. Cioè?... Canzoni... Non voglio?... E non sono tuo marito? (Picchiano all'uscio di entrata.) NORA (trasalendo). Hai inteso? HELMER (passando nell'anticamera). Chi è? SCENA IV. DETTI e il DOTTOR RANK. IL DOTTOR RANK (di fuori). Son'io. Posso entrare un momentino? HELMER (seccato). Che vuole costui? (Ad alta voce). Attendi. (Apre). È una gentilezza da parte tua non passare davanti alla nostra porta senza picchiare. RANK. Mi parve di sentire la tua voce: ed io ho voluto entrare. (Dando un'occhiata attorno). Eccolo il caro e dolce nido! Felici voialtri, che avete qui la pace, il benessere! HELMER. Anche lassù ti piaceva! RANK. Moltissimo. E perchè no? Perchè non godere, finchè e quanto si può, d'ogni cosa in questo mondo? Il vino era squisito. HELMER. Lo sciampagna specialmente. RANK. L'hai notato anche tu? È incredibile quanto ne ho bevuto. NORA. Anche Torvaldo ne ha bevuto molto questa sera. RANK. Davvero? NORA. E lo sciampagna gli fa sempre un certo effetto... RANK. Perchè non si dovrebbe passare una bella serata, dopo una giornata impiegata bene? HELMER. Impiegata bene? Io per disgrazia oggi non posso vantarmene. RANK (battendogli sulla spalla). Ed io me ne vanto, sai! NORA. Dottore, ha studiato forse qualche caso scientifico? RANK. Precisamente. HELMER. Senti chi parla di casi scientifici! NORA. E dobbiamo rallegrarci del risultato? RANK. Oh sì! NORA. Un buon risultato? RANK. Il migliore, sia pel medico, sia pel malato; la certezza. NORA. (vivamente e scrutandolo con lo sguardo). La certezza? RANK. La certezza assoluta. Non mi meritavo una così bella serata in compenso? NORA. Senza dubbio, dottore. HELMER. Sono di tal parere anch'io: purchè non te ne dolga domani. RANK. Tutto si sconta in questa vita. NORA. Dottore... le deve amar molto le mascherate. RANK. Sì, quando ci sono dei costumi grotteschi. NORA. Dica, che costume porteremo, lei ed io, la volta ventura? HELMER. Pazzarella! Già pensa alla prossima mascherata. RANK. Lei ed io? Glielo dirò subito: lei da porta-fortuna. HELMER. Bravo! Ma trovale un grazioso costume da porta-fortuna. RANK. Basta che tua moglie si mostri quale la vediamo giornalmente. HELMER. Ben trovata! E tu che costume porterai? RANK. È già fissato, mio caro amico! HELMER. Sentiamo. RANK. Nella prossima mascherata mi vestirò da invisibile. HELMER. Che idea buffa! RANK. C'è un cappellone... Non hai inteso parlare di un certo cappellone che rende invisibile? Te lo metti in testa e nessuno ti vede. HELMER (reprimendo un sorriso). Sì, sì, hai ragione. RANK. Intanto dimentico perchè sono entrato. Helmer, dammi un sigaro, uno dei tuoi avana scuri. HELMER. Con molto piacere. (Gli presenta l'astuccio). RANK (prende un sigaro e lo spunta). Grazie. NORA (accendendo un cerino). Permetta che io le offra il fuoco. RANK. Grazie. (Nora gli accosta il cerino: egli accende il sigaro). Ed ora addio! HELMER. Addio, addio, mio caro! NORA. Buon giorno, dottore! RANK. La ringrazio dell'augurio. NORA. Me ne faccia uno simile a me. RANK. A lei? Via, giacchè lo vuole: Buon sonno! E grazie del fuoco. (Li saluta con un cenno del capo ed esce). SCENA V. HELMER e NORA. HELMER (contenendo la voce). Ha bevuto un tantino di più. NORA (distratta). Forse. (Helmer cava di tasca le chiavi e passa nell'anticamera). NORA. Torvaldo, che vuoi fare? HELMER. Vuotare la cassetta delle lettere: è ripiena. Domattina non ci sarebbe posto pei giornali. NORA. Vuoi lavorare questa notte? HELMER. No, te l'ho già detto. Che vuol dire? Hanno guastato la serratura... NORA. La serratura? HELMER. È evidente. Che vuol dire? Non credo che le persone di servizio... Ecco un pezzetto di forcina da capelli... È una delle tue, Nora... NORA. Che ne so? Forse i bambini. HELMER. Dovresti levar loro quella cattiva abitudine. Hm! Hm! Ecco: ho aperto lo stesso. (Vuota la cassetta e chiama). Elena! Elena, spegnete il lume del pianerottolo. (Entra e chiude l'uscio dell'anticamera). HELMER (con le lettere fra le mani). Guarda quante! (Osserva le buste). Come mai queste qui? NORA (alla finestra). Quella lettera! No, no, Torvaldo! HELMER. Due biglietti da visita... di Rank. NORA. Del dottore? HELMER (leggendo). Rank, dottore in medicina. Erano sopra le lettere: ha dovuto mettervele or ora andando via. NORA. C'è qualche cosa scritta? HELMER. Una gran croce, sopra il nome. Guarda! Che brutto scherzo! Pare che voglia partecipare la notizia della sua morte. NORA. Ce la partecipa infatti. HELMER. Che? Che ne sai tu? Ti ha detto qualcosa? NORA. Sì. Questi biglietti significano ch'egli si è congedato per sempre da noi. Vuol chiudersi in casa e poi morire. HELMER. Povero amico! Sapevo che l'avrei perduto fra non molto, ma non supponevo mai così presto! Va a nascondersi come un animale ferito. NORA. Dovendo morire, meglio così, alla muta: è vero, Torvaldo? HELMER (andando su e giù per la stanza). Era diventato uno di famiglia. Non so immaginarmelo morto. Col suo male, col suo carattere solitario, serviva da sfondo scuro al quadro pieno di sole della nostra felicità. Ma! forse è meglio così: almeno per lui. (Si ferma). E, forse anche per noi, Nora! Eccoci ora dedicati esclusivamente l'uno per l'altra. (La prende tra le braccia). Ah! amor mio, moglina mia! Non t'abbraccerò mai forte abbastanza! Senti, Nora: spesso io desidero vederti minacciata da un grave pericolo, per poter esporre la mia vita, dare il mio sangue, mettere tutto in rischio, unicamente per proteggerti! NORA (svincolandosi, e con voce ferma e risoluta). Ed ora leggi le tue lettere, Torvaldo. HELMER. No, no, questa notte voglio passarla con te, moglina mia cara! NORA. Col pensiero di quel moribondo, del tuo amico? HELMER. Hai ragione. Questa notizia ci ha sconvolti. Qualcosa di repugnante è venuto a frapporsi tra noi due: l'idea della morte, della dissoluzione! Dobbiamo liberarcene. E finchè ce ne saremo liberati... Andiamo ognuno nella propria camera. NORA (gettandogli le braccia al collo). Buona notte, Torvaldo! Buona notte. HELMER (baciandola in fronte). Buona notte, uccelletto mio canterino! Dormi tranquilla. Io darò un'occhiata alle lettere. (Entra nella sua camera portando via la lettera e chiude l'uscio). NORA (tastoni cogli occhi smarriti, ella prende il domino di Helmer, lo indossa dicendo, con voce breve, rantalosa, a scatti). Non vederlo più mai! Per sempre! Per sempre! (Mette in testa lo scialle). E i bambini! Neppur loro!... Per sempre! Ah quell'acqua ghiaccia e nera! E quell'altra cosa... quella cosa terribile!… Oh, se fosse già passata!... In questo momento la prende... la legge... No, non ancora! Addio Torvaldo!... Addio, figliuolini miei!... (Ella si precipita verso la porta d'entrata. Nello stesso punto Helmer apre violentemente l'uscio di camera sua ed esce, tenendo in mano una lettera aperta). HELMER. Nora! NORA (con un grido acuto). Ah! HELMER. Dunque tu sai quel che c'è qui!... (Indica la lettera). NORA. Sì, lo so! Lasciami partire! Lasciami andar via! HELMER (trattenendola). Dove vai? NORA (tentando di svincolarsi). Tu non puoi salvarmi, Torvaldo! HELMER (indietreggiando). È dunque vero? Questa lettera dice la verità? Orrore! No, non è possibile, no! NORA. È la verità, io ti ho amato più che qualunque cosa al mondo! HELMER. Finiscila con le stupidaggini! NORA (facendo un passo verso di lui). Torvaldo! HELMER. Disgraziata! Che hai fatto! NORA. Lasciami andar via. Tu non patirai la pena della mia colpa, tu non dovrai rispondere per me! HELMER. Non più scene! (Chiude l'uscio dell'anticamera). Tu resterai, tu mi renderai conto dell'opera tua!... Comprendi tu quel che hai fatto? Di', lo comprendi tu? NORA (lo guarda con rigidezza crescente, e parla con voce velata). Sì, già comincio a comprenderlo. HELMER. Che terribile svegliarsi! Durante otto anni la mia gioia, il mio orgoglio... un'ipocrita, una bugiarda, peggio, una colpevole! Che abisso di bruttura! Va, mi fai orrore! NORA (muta, segue a guardarlo fissa). HELMER (arrestandosi dinanzi a lei). Dovevo prevederlo, dovevo avere il presentimento che sarebbe arrivato qualcosa di simile. Con la leggerezza dei principî di tuo padre!.. E tu hai ereditato quella leggerezza. Nè religione, nè morale; nè sentimento di dovere... Oh come sono stato punito di essere stato indulgente con lui! Lo fui per te! Ecco la ricompensa! NORA. Sì, eccola! HELMER. Hai già distrutta la mia felicità, annientato il mio avvenire. Fremo al solo pensarci! Eccomi tra le mani di un uomo senza scrupoli: egli può fare di me tutto quello che gli piace, comandare, ordinare a suo capriccio, senza che io possa rifiatare! Per la leggerezza di una donna, già mi si può ridurre a niente! NORA. Quando sarò morta, tu sarai libero. HELMER. Smetti con i paroloni! Anche tuo padre ne aveva una gran provvista! Che mi gioverebbe, se tu morissi, come dici? Non mi gioverebbe nulla. Potrai impedirgli di spacciare la notizia, di farmi sospettar complice della tua azione criminosa? Si potrà anche credere che io sia stato l'istigatore, colui che ti ha data la spinta. E tu hai fatto questo! Tu che io portavo in braccio nella vita! Lo comprendi ora quello che hai fatto? NORA (calma e fredda). Sì. HELMER. È così incredibile che non so raccapezzarmi! E convien provvedere. Levati via quello scialle, levatelo, ti dico. D'una maniera o d'un altra, ora debbo contentarlo. Bisogna soffocare quest'affare, a qualunque prezzo. Per quei di casa, niente deve parer cangiato fra noi due. Si tratta, ben inteso, dell'apparenza. Tu rimarrai qui, non occorre dirlo. Ma t'interdico l'educazione dei nostri figli: non ardisco più confidartela. Oh Dio! Dover parlare così a colei che ho tanto amata e che ancora... Via! Fu!... Dev'essere così! Non si tratta più di felicità, ma di salvare quel che rimane, i frantumi, le apparenze! (Bussano alla porta d'entrata). HELMER (trasalendo) Chi può essere così tardi? Oh spavento!... Sarebbe di già?... Avrebbe già! Nasconditi, Nora! Di' che sei malata… (Nora rimane ferma. Helmer va ad aprire). LA CAMERIERA (mezza vestita nell'anticamera). Una lettera per la signora. HELMER. Da' qui (prende la lettera e chiude l'uscio). È di lui! Vo' leggerla... NORA. Leggi. HELMER (avviandosi al lume). Non oso!... Forse siamo irretiti tutti e due! Eppure bisogna che sappia. (Apre rapidamente la lettera, ne percorre alcune righe, esamina la carta che vi è annessa e manda un grido di gioia). Nora! NORA (l'interroga con lo sguardo). HELMER. Nora! No, rileggiamo... È così! Salvo! Son salvo! NORA. Ed io? HELMER. Anche tu! Si capisce! Siamo salvi tutti e due! Guarda! Egli restituisce la sua ricevuta. È dispiacente, è pentito; un felice avvenimento ha cangiato il corso della sua vita... Oh! che m'importa... non vo' saper altro! Siamo salvi, Nora! Nessuno più può nuocerci! Ah! Nora, Nora! No... prima di tutto, distruggiamo quest'infamia... Lasciami veder bene... (Dà un'occhiata alla ricevuta). No, niente! Ho fatto un cattivo sogno! Nient'altro! (Strappa le due lettere e sta vedere a bruciare i minuzzoli). Tutto è distrutto! Egli ti scriveva che, dalla vigilia di Natale, tu... Oh questi tre giorni, che terribile tortura per te, Nora mia! NORA. Tre giorni di violentissima lotta! HELMER. E disperavi! E non vedevi altra uscita che la... Oh! dimentichiamo questi orrori! Noi festeggeremo la nostra liberazione ripetendo incessantemente: è finita! È finita! Nora, non hai dunque compreso? È finita! Perchè questa rigidezza! Povera Norina mia, capisco! Tu non credi forse che io ti abbia già perdonato? Eppure è così, Nora; te lo giuro: ti ho già perdonato! Lo so bene, tu hai agito così per amor mio... NORA. È vero... HELMER. Mi hai voluto bene come una moglie deve voler bene al marito: ti sei ingannata nella scelta de' mezzi: non sapevi. Credi tu che mi sei meno cara perchè non sai guidarti da te? No, no: appoggiata al mio braccio, troverai aiuto e direzione. Non sarei un uomo, se la tua deficienza femminile non ti rendesse doppiamente cara ai miei occhi! Dimentica quelle parole che mi sono scappate nel primo momento di terrore, quando mi sembrava che il mondo stesse per crollarmi addosso! Ti ho già perdonata, Nora! Ti giuro che ti ho perdonata. NORA. Grazie del tuo perdono. (Va via per l'uscio a destra). HELMER. No, resta qui. (La segue con lo sguardo). Che vai a fare nell'alcova? NORA (dalla camera). Vo a levarmi questo costume da mascherata. HELMER (vicino all'uscio rimasto aperto). Sì: e riposati: tenta di calmarti, di rimetterti da questo colpo, uccellino mio spaventato! Riposa tranquilla, sotto le mie ali che ti proteggeranno. (Passeggiando senza allontanarsi dall'uscio). Che silenzioso e dolce nido è il nostro, Nora! Qui tu sei al sicuro: io ti terrò come una colomba, sana e salva dagli artigli del nibbio! Io saprò tranquillare il tuo povero cuore che sussulta. A poco a poco, vi riescirò, credimi, Nora. Domani, tutto questo lo vedrai sotto un altro aspetto. Ogni cosa tornerà alla calma primiera. Non occorrerà che io ti ripeta che ti ho perdonata. Lo sentirai da te, in modo da non poterne più dubitare. Come puoi credere che io debba rigettarti o rimproverarti per lo meno? Perdonare veramente è così dolce pel cuore dell'uomo e appaga talmente la coscienza! Par di prendere un nuovo possesso, creare di nuovo. L'essere perdonato non è più una moglie, ma la propria creatura! E da ora in poi tu sarai tale per me, piccina mia, atterrita e senza direzione! Non impensierirti di niente, Nora: sii soltanto sincera verso di me, ed io ti terrò luogo di volontà e di coscienza. Come? Non sei andata a letto. Ti sei vestita di nuovo? NORA (che ha indossata la sua veste giornaliera). Sì, Torvaldo, mi sono vestita. HELMER. Perchè? A quest'ora? NORA. Non conto di dormire questa notte. HELMER. Ma cara Norina... NORA (guardando il suo orologio). Non è tardi. Siedi, Torvaldo. Dobbiamo ragionare un po'. HELMER. Nora! Che cosa vuol dire? Quest'aria di rigidezza... NORA. Siediti. La conversazione sarà lunga. Abbiamo molte cose da dirci. HELMER (sedendosi di faccia a lei). Mi dai da pensare, Nora. Non ti comprendo. NORA. Dici bene, tu non mi comprendi. E neppure io, neppure io non avevo mai compreso... prima di questa sera. Non interrompermi. Ascolta quel che ti dico. Dobbiamo regolare i nostri conti. HELMER. Quali conti? NORA. Sono già otto anni da che siamo maritati. Rifletti un po': non è questa la prima volta che noi due, da marito e moglie, ragioniamo seriamente insieme? HELMER. Seriamente, sì. Che vuol dire? NORA. Son già otto anni, anche più, contando dal giorno del nostro primo incontro, e non abbiamo mai scambiato una parola seria sopra un grave soggetto. HELMER. Dovevo forse, metterti a parte delle mie angustie che tu non avresti potuto alleviare? NORA. Non parlo d'angustie. Intendo dire che mai, in nessuna occasione, noi non abbiamo cercato la ragione delle cose. HELMER. Via, Nora carissima: questa non era occupazione da te. NORA. Ecco! Non mi avete mai compresa: siete stati ingiustissimi verso di me, prima papà, poi tu. HELMER. Come? Noi due? E chi ti ha voluto bene quanto noi due? NORA (crollando il capo). Non mi avete mai voluto bene. Lo starvene in adorazione davanti a me, vi è parso divertente: nient'altro. HELMER. Andiamo, Nora! Che linguaggio è questo? NORA. È proprio così, Torvaldo. A casa mia, papà mi esponeva le sue idee ed io le accettavo. Se ero d'un altro parere, sapendo che il sentirsi contradetto gli faceva dispiacere, non glielo davo a vedere. Mi chiamava la sua bamboletta e giocava con me come io giuocavo con la mia bambola. Poi, sono venuta a casa tua... HELMER. Che strano modo di esprimersi per parlare del nostro matrimonio! NORA (senza cambiar tono). Intendo dire che dalle mani di papà son passata fra le tue. Tu hai disposto ogni cosa a gusto tuo ed io mi sono adattata, o pure ho fatto le viste di adattarmi, non lo so precisamente: forse l'uno e l'altro, ora l'uno, ora l'altro. Volgendo lo sguardo addietro, mi sembra di essere vissuta come i poveri, giorno per giorno. Son vissuta facendo pirolette attorno a te, Torvaldo; e tu ne eri contento. Tu e papà, vi siete condotti malissimo, con me. Colpa vostra se son riuscita un'inetta. HELMER. Sei assurda, Nora: assurda e ingrata! Non sei stata felice qui? NORA. No, mai! Ho creduto di esser tale, ma non sono stata tale giammai. HELMER. Tu non sei stata... Tu non sei stata mai felice? NORA. Mai; allegra, niente altro. Tu eri buono con me: però la nostra casa è stata soltanto una sala di ricreazione. Da bambina ero servita da bambola per papà: da moglie, son servita da bambola per te. E i nostri bambini alla lor volta, sono serviti da bambola per me. Com'essi si divertono quand'io gioco con loro, così io mi divertivo quando tu giocavi con me. Ecco quel che è stata la nostra unione, Torvaldo. HELMER. Non hai interamente torto, quantunque ci sia dell'esagerazione e molta amplificazione in ciò che hai detto. Ma da ora in poi le cose andranno diversamente. Il tempo della ricreazione è passato: ora è quello dell'educazione. NORA. Di chi? Di me o dei bambini? HELMER. Di tutti, Nora mia. NORA. Ahimè, Torvaldo! Tu non sei uomo da educarmi, da ridurmi la moglie che ci vuole per te. HELMER. Sei tu che parli così? NORA. Io poi... come sono preparata per l'educazione dei bambini? HELMER. Nora! NORA. Non mi dicesti poco fa che non oseresti confidarmela? HELMER. Parlavo nell'irritazione... E me lo rimproveri? NORA. Dio mio! L'hai detto, e chiaramente. Infatti è un'impresa superiore alle mie forze. C'è un altro cómpito a cui devo consacrarmi: l'elevazione di me stessa. Tu non sei l'uomo da rendermelo più facile: dovrò intraprenderlo da sola. Per ciò ti lascio. HELMER. Nora! Nora! NORA. Voglio andarmene subito. Dormirò, per questa notte, da Cristina... HELMER. Tu perdi la testa!... Non hai il diritto di andartene: te lo proibisco. NORA. Al punto in cui siamo, non puoi proibirmi cosa alcuna. Io porto via tutto quello che m'appartiene. Di tuo non voglio niente, nè ora nè mai. HELMER. È una pazzia addirittura NORA. Domani partirò per casa mia; intendo, pel mio paese nativo. Là troverò più facilmente da vivere. HELMER. Cieca! Povera creatura senza esperienza! NORA. L'acquisterò l'esperienza, Torvaldo. HELMER. Abbandonerai la tua casa, tuo marito, i tuoi figli? E non pensi a quel che se ne dirà? NORA. Non voglio occuparmene. Mi basta sapere soltanto che per me è indispensabile. HELMER. Fai rabbia! E tradirai i tuoi più sacri doveri? NORA. Quali tu credi che siano i miei più sacri doveri? HELMER. Occorre dirtelo? Non sono i tuoi doveri di moglie e di madre? NORA. Ne ho degli altri, sacri altrettanto. HELMER. No. No. Per esempio? NORA. Quelli verso me stessa. HELMER. Sei moglie e sei madre innanzi tutto. NORA. Non la penso più così. Penso che, prima di tutto, sono una creatura umana, come te; o almeno, voglio tentare di ridurmi tale. La maggioranza degli uomini ti darà ragione, Torvaldo: i libri, pure. Ma io non debbo più preoccuparmi di quel che dicono gli uomini o che è stampato nei libri. Bisogna che intorno a questo soggetto io mi formi delle idee, da me, e tenti di rendermi conto di ogni cosa. HELMER. Come? Non capisci che il tuo posto è qui? Non hai intorno a questo una guida infallibile: la religione? NORA. Ahimè! Torvaldo! Io non so precisamente la religione che cosa sia. HELMER. Non sai che cosa sia? NORA. So quel po' che me ne disse il pastore Hauser, preparandomi alla cresima. La religione è questo: la religione è quello! Quando sarò sola e libera, esaminerò anche tale questione al pari delle altre. Vedrò se il pastore mi disse la verità, o per lo meno, se quello che mi disse era vero riguardo a me. HELMER. Ma nessuno ha mai inteso parlare una giovane così! Ma se la religione non ti può servire di guida, lasciami almeno scandagliare la tua coscienza. Voglio credere almeno che non ti manchi il senso morale: può anche darsi. Rispondimi. NORA. Vedi, Torvaldo? Io non so dirtelo. Non mi raccapezzo. Di una sola cosa sono certa: dell'estrema differenza fra le tue e le mie idee. Ho appreso che il codice non è quale io me lo immaginavo; che il codice sia giusto però non m'entrerà mai nella testa. Come? Una donna non avrà il diritto di risparmiare un'afflizione al vecchio padre morente o di salvare la vita del proprio marito. È un'assurdità. HELMER. Parli come una bambina. Non intendi niente della società di cui fai parte. NORA. E non voglio intenderne niente. Voglio però assicurarmi: chi di noi due ha ragione, se la società oppure io. HELMER. Tu sei malata, Nora: tu hai la febbre: quasi quasi sto per credere che il tuo cervello abbia dato la volta... NORA. Non ho mai avuto l'intelligenza così limpida e così sicura come l'ho questa notte. HELMER. E con tale limpidezza e sicurtà d'intelligenza tu abbandoni marito e figli? NORA. Sì. HELMER. C'è una sola spiegazione di tutto questo. NORA. Quale? HELMER. Che tu non m'ami più! NORA. Precisamente: il nodo è lì. HELMER. Nora! E me lo dici a questo modo? NORA. Mi fa pena, Torvaldo: perchè tu sei stato sempre buono verso di me. Ma non so che farci: non t'amo più. HELMER (sforzandosi di contenersi). E... anche di questo sei perfettamente convinta? NORA. Assolutamente: ed è la ragione per cui non voglio restare più qui. MELMER. E... potresti spiegarmi in che maniera ho io perduto l'amor tuo? NORA. Senza dubbio. È avvenuto questa sera, quando non ho visto avvenire il prodigio sperato: in quel punto ho capito che tu non eri l'uomo che io ti credevo... HELMER. Spiegati: non t'intendo... NORA. Ho atteso pazientemente otto anni. Sapevo, Dio mio, che i prodigi non avvengono tutti i giorni... Finalmente sopraggiunse quest'ora di angoscia. Io dissi subito da me: il prodigio è vicino. Finchè la lettera di Krogstad restò nella cassetta, non mi balenò in mente, neppure per un attimo, che tu potessi indurti alle condizioni imposte da colui. Ero sicura che gli avresti risposto: via di qua!... Pubblicate pure!... Se questo fosse avvenuto.... HELMER. Ebbene, sì? E quando avessi io esposta mia moglie all'infamia e al disprezzo?... NORA. Ah! Se questo fosse avvenuto, io era perfettamente sicura che tu ti saresti fatto avanti, assumendo ogni responsabilità, dicendo: – ecco il colpevole! HELMER. Nora!... NORA. Tu dirai che io non avrei mai permesso tal sacrifizio. È vero. Ma che valore avrebbe avuto la mia affermazione in faccia alla tua? Ecco quale era il prodigio che io speravo in tanto terrore! E per impedirlo volevo morire. HELMER. Io avrei lavorato con grande gioia, giorno e notte, per te: avrei sopportato qualunque afflizione, qualunque privazione... Ma... immolare il proprio onore per la persona amata... Non lo farebbe nessuno! NORA. Migliaia di donne l'hanno fatto. HELMER. Oh! Tu pensi e parli come una bambina. NORA. Ammettiamolo! Tu però non pensi nè parli come l'uomo con cui potrei vivere. Appena rassicurato, non intorno al mio pericolo, ma al tuo... e tu hai dimenticato ogni cosa. Ed io sono ridivenuta la tua allodoletta, la tua bambola da esser portata in braccio come prima, con un po' più di precauzione, forse, ora che la sai così fragile. (Alzandosi). Ascolta bene, Torvaldo, in quel momento mi parve di essere vissuta otto anni in questa casa insieme con un estraneo da cui avevo avuto tre figli... Ah! Non posso nemmeno, pensarci! Vorrei sbranarmi, con le mie stesse mani, in mille pezzi! HELMER. Intendo, ahimè, intendo! C'è già un abisso tra noi due! Ma di', Nora, non potremo colmarlo? NORA. Così, come ora sono, no; io non posso più essere tua moglie. HELMER. Avrò tanta forza per trasformarmi. NORA. Forse... se non avrai più la tua bambola! HELMER. Separarci?... Separarmi da te?... È impossibile, Nora! È impossibile! Non posso rassegnarmi a quest'idea. NORA. Ragione di più per tagliar corto. (Esce e ritorna con il mantello ed il cappellino, una valigietta da viaggio, che posa sulla seggiola, presso il tavolino). HELMER. Domani almeno; aspetta sino a domani! NORA (indossando il mantello). Non posso passare la notte in casa di un estraneo. HELMER. Ma non potremo continuare a vivere insieme, come fratello e sorella? NORA (annodandosi il cappello). Tu sai bene che non potrebbe durare a lungo.... (Gettandosi sulle spalle lo scialle). Addio, Torvaldo! Non voglio vedere i bambini; sono in migliori mani delle mie. Ora, così come sono, non potrei essere una madre per loro. HELMER. Ma più tardi, Nora, più tardi? NORA. Che risponderti? Non so quel che accadrà. HELMER. Qualunque cosa tu faccia, però, tu sarai sempre mia moglie! NORA. Ascolta, Torvaldo. Ho sentito dire che allorquando una moglie abbandona, come io fo questa notte, il domicilio coniugale, le leggi sciolgono il marito da ogni impegno verso di essa. In ogni caso, dal canto mio, io ti dichiaro già bell'e sciolto. Non è giusto che tu ti creda legato mentre io mi stimo libera. Libertà intera da una parte e dall'altra. Prendi, ecco il tuo anello; rendimi il mio. HELMER. Anche questo? NORA. Sì. HELMER. Eccolo. NORA. Grazie. Ed è finita! Le chiavi son là. Per gli affari di casa, la governante è informatissima, meglio di me. Domani, dopo la mia partenza, Cristina verrà a mettere in una valigia tutti gli oggetti ch'io portai con me venendo qui. HELMER. È finita... E tu non penserai più a me, Nora? NORA. A te, ai bambini, alla casa... oh, ci penserò spesso, sta sicuro... HELMER. Potrò scriverti, Nora? NORA. No, mai: te lo proibisco. HELMER. Oh potrò almeno mandarti... NORA. Nulla! Nulla! HELMER. Aiutarti, quando ne avrai bisogno... NORA. No, no, ti dico! Non accetto niente da un estraneo. HELMER. Nora!... E sarò sempre soltanto un estraneo per te? NORA (prendendo in mano la valigietta). Ah! Torvaldo! occorrerebbe per questo il più grande dei prodigi... HELMER. Di' quale... NORA. Occorre che avvenga tale trasformazione in noi due!... Ahimè!... Non ho più fede nei prodigi Torvaldo. HELMER. Ma sì, ci ho fede io. Di' dunque. Dovremmo trasformarci a tal punto... NORA. A tal punto che la nostra unione diventi un matrimonio davvero. Addio! (Ella va via dall'uscio di entrata). HELMER (lasciandosi cascare su una seggiola presso l'uscio, coprendosi la faccia con le mani). Nora! Nora!.... (Leva la testa e guarda attorno). È andata via! È andata via! (Con crescente speranza). Il più grande dei prodigi?! (Si sente il rumore della porta di casa che vien chiusa). FINE DELLA COMMEDIA.